Allarme sanità: nell'ultimo biennio meno laureati infermieri che medici
Di NS
Il sorpasso del 2020 confermato l'anno scorso. L'esperto Angelo Mastrillo (UniBo) a Nursind Sanità dice: "Come possiamo mettere a terra i progetti del Pnrr in queste condizioni?"
di Ulisse Spinnato Vega
"No, per me non è accettabile il sorpasso dei laureati in Medicina e Chirurgia sugli infermieri. Siamo in un momento molto brutto". I numeri non sempre sono freddi, in alcuni casi possono suscitare reazioni vive e appassionate. CosìAngelo Mastrillo, che insegna Organizzazione delle professioni sanitarie all'Università di Bologna, non può esimersi dal chiosare sui dati che lui stesso elabora con riconosciuta dimestichezza. E a Nursind Sanità dice: "Nulla contro l'aumento dei medici di cui c'è gran bisogno. Ma cosa vogliamo fare con questa popolazione di infermieri? Come si pensa di portare avanti i progetti del Pnrr?".
L'elemento che fa notizia (vedi tabella in basso) è appunto che i laureati in medicina, sia nel 2020 (10.841) che nel 2021 (10.461), hanno superato la platea che ha terminato gli studi di infermieristica (9.998 nel 2020 e addirittura 9.931 l'anno scorso). Insomma, se facciamo riferimento alle cifre del Servizio sanitario nazionale, il rapporto di 2,5 infermieri circa per ogni medico sta ormai saltando. E anche la somma cumulata dei laureati nel periodo 2011-2021, calcolata da Mastrillo su dati del Mur, vede una differenza sempre più assottigliata tra i 91mila in medicina-chirurgia e i 125mila infermieri. D'altronde il trend è chiarissimo: prima c'era carenza di nuovi medici che nel frattempo sono però saliti dai 6.702 del 2011 agli oltre 10mila di oggi, mentre gli infermieri sono crollati sotto la soglia psicologica dei 10mila, appunto, dagli oltre 13mila del 2013 (quando il rapporto con i medici era di due a uno).
La dinamica in atto, tra l'altro, non è destinata ad arrestarsi: si vocifera infatti che nel 2022-2023 addirittura i posti messi a bando in medicina e chirurgia possano pareggiare gli infermieri attorno a quota 17mila. Dunque, la carenza di questi ultimi sta via via assumendo dimensioni drammatiche, come peraltro testimoniato da tutte le indagini statistiche. "Voglio restare prudente sui numeri: abbiamo un fabbisogno di almeno 15mila infermieri l'anno. Dove andiamo con 10mila scarsi?", si chiede retoricamente il docente dell'ateneo bolognese. Si tratta di numeri impietosi che in effetti gettano un'ombra sulla realizzazione del Pnrr, a partire dalla necessità di mettere in campo la figura dell'Infermiere di famiglia. E che dire dell'attuale crisi delle strutture private, a partire dalle Rsa? Anch'esse dovrebbero avere personale sufficiente e pagato il giusto. Insomma, oltre ai buchi cronici del Ssn, il rischio è che il nuovo assetto dell'assistenza territoriale disegnato dal Recovery plan rimanga poco più che un guscio vuoto.
Una professione, quella dell'infermiere, che non attrae per gli stipendi bassi e le scarse prospettive di carriera? Il tema c'è, malgrado i miglioramenti portati dal rinnovo del contratto di comparto, che tuttavia si vedranno forse solo a partire dalla fine di quest'anno. Eppure Mastrillo ribatte: "Quando io ho 17mila posti a bando e 28mila studenti che chiedono di entrare, non direi che c'è carenza di domande. Qualcuno sostiene che il problema riguardi il Nord. Bene: la Lombardia nel 2021 ha chiesto 3.300 posti, sia come Regione che come Fnopi, e le candidature presentate erano 3.255. C'eravamo quasi con la copertura, peccato che poi i posti messi a bando siano stati appena 2.018. Nel frattempo il Lazio, che ha la metà degli abitanti della Lombardia, ne ha banditi 3.500. La sproporzione è eclatante", riflette l'esperto. In ogni caso, snocciola Mastrillo, "al Sud il rapporto è di 3,4 domande per posto bandito in Campania o 2,8 in Puglia, quindi non direi che non ci sia attrattività. Certo, poi se vuoi che un professionista si sposti, devi incentivarlo, devi riconoscergli qualcosa".
L'altro problema è che, nella media degli ultimi 11 anni, si sono laureati 11.436 infermieri sui 15.464 posti messi a bando. Quindi il 74% del totale. Un valore che è crollato dall' 81% del 2013 al 67% del 2021. "La probabile causa risiede nella difficoltà di garantire il tirocinio per gli studenti negli ultimi due anni e concludere quindi in tempo il percorso formativo", ipotizza Mastrillo. Un deficit, va detto, acuito fortemente dal Covid nell'ultimo biennio. Tuttavia, i trend rimangono a dir poco allarmanti e un set efficace di interventi e misure ad hoc non può più attendere.