“No ai Dpcm nel Piano pandemico? È una scelta politica”
L’ex direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, a Nursind Sanità sulla bozza inviata dal governo alle Regioni: “È un documento tecnico, si poteva evitare il riferimento agli strumenti normativi”
Di Ulisse Spinnato Vega
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Vaccini sì, ma non solo; e soprattutto con cautela, dando ampio risalto ai rischi correlati. Chiusure e limitazioni della libertà soltanto se serve, in modo ragionevole ed equilibrato, tuttavia da disporre con leggi primarie (vedi decreti legge) e non più attraverso i tanto discussi Dpcm (Decreti della presidenza del Consiglio) che fioccavano nell’era Covid targata Conte e Draghi. Informazione e sensibilizzazione certo, ma senza toni drammatici e senza generare stigma sociale. Insomma, a cinque anni dalla scoperta del ‘paziente 1’ di Codogno che diede l’avvio ‘ufficiale’ all’emergenza che ha cambiato l’Italia, la maggioranza di centrodestra cerca di imprimere la propria impronta al nuovo Piano pandemico ('Piano strategico operativo di preparazione e risposta ad una pandemia da patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico 2025-2029'), appena trasmesso in bozza dal ministero della Salute alla Conferenza delle Regioni. Pesano le ricorrenze, ovvio, ma il tema è tornato sensibile anche per ragioni di cronaca, con le polemiche alimentate dai lavori della commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione Covid.
REZZA: “SI POTEVANO OMETTERE GLI STRUMENTI NORMATIVI”
Da ex dirigente di ricerca Iss ed ex direttore generale Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, che oggi è professore straordinario di Igiene presso l’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, si è trovato a vivere proprio al centro dell’uragano Sars-Cov2 e con Nursind Sanità commenta la nuova bozza in discussione tra governo e Regioni. Sul nodo sensibile degli strumenti normativi Rezza veste i panni neutri dello scienziato: “Secondo me, alla fin fine si potrebbe evitare di indicarli nei piani pandemici, che sono documenti tecnici. Si tratta di una scelta squisitamente politica, io da addetto ai lavori non voglio entrarci. Questo governo deciderà eventualmente cosa fare. Sia Conte che Draghi hanno molto usato i Dpcm: il primo soprattutto per operare le chiusure e le limitazioni, il secondo, invece, in un’ottica di allentamento e cauta riapertura, come sul green pass ad esempio”.
“BENE ALTRE TERAPIE ACCANTO A VACCINI”
Rezza sa bene che la politica è l’arte del possibile e distingue: “Noi tecnici, anche allora, puntavamo al rischio zero per la salute. Ma ovviamente il legislatore doveva e deve mediare tra interessi e punti di vista diversi. C’è quello dello scienziato, ma c’è pure quello dell’economista o dell’imprenditore. E ci sono le istanze sociali, emotive o morali. Se noi chiedevamo, ad esempio, una copertura vaccinale alta, toccava poi alla politica decidere di puntare sull’obbligo di immunizzazione o su altri strumenti”. Quindi c’è la questione sensibile dei vaccini. La bozza ne riconosce l’importanza, ma allo stesso tempo la circoscrive, chiarendo che “non possono essere considerati gli unici strumenti per il contrasto agli agenti patogeni ma vanno utilizzati insieme ai presidi terapeutici disponibili”. Inoltre, prosegue il testo, “risulta assolutamente centrale la sensibilizzazione delle persone attraverso una comunicazione semplice ed efficace dei benefici e dei rischi correlati”.
“MISURE RESTRITTIVE COMUNQUE CONTEMPLATE”
Rezza chiosa: “È logico che il vaccino non sia l’unico presidio. Ci sono farmaci e terapie che possono accompagnarlo. E peraltro non è detto che copra tutte le infezioni e varianti. Dopodiché gli altri interventi riguardano comunque misure restrittive, che possono essere applicate in modo più o meno draconiano e magari non vengono citate esplicitamente nel piano, ma il rimando all’Oms non lascia dubbi”. L’esperto precisa poi che “il documento riporta agenti infettivi con impatto potenziale molto diverso tra loro dal punto di vista clinico. È difficile che un adenovirus o un para-influenzale abbiano le stesse conseguenze di un coronavirus o di un aviario umanizzato”.
“ALL’EPOCA C’ERANO TROPPI TALK TV”
Infine, il delicato capitolo dell’informazione e comunicazione istituzionale. Per Rezza “si poteva fare meglio allora e si può sempre fare meglio. Al tempo del Covid la scelta fu di non far parlare tanto il ministero, ma gli enti ad esso vicini come l’Istituto superiore di sanità”. Il problema fu che “la comunicazione istituzionale si rivelava perdente quando avevi decine di talk show in cui ogni esperto, o sedicente tale, diceva la sua. C’era troppo rumore di fondo. Ma era inevitabile, mica si potevano vietare i talk televisivi. Né però si poteva pensare che la figura istituzionale scendesse sullo stesso piano degli esperti da salotto”.
LE RISORSE DEL PIANO
Va detto che il nuovo Piano pandemico affronta i vari aspetti della pianificazione e della risposta all'emergenza, dal coordinamento delle strategie ai fondi, dagli approcci di sorveglianza ai presidi di tutela della comunità e all'organizzazione dei servizi sanitari, fino alla formazione degli operatori della salute. Proprio in merito alle risorse, la copertura arriva dalla legge di Bilancio 2022 (governo Draghi) che mette sul piatto 550 milioni di euro per il biennio 2022-2023 a valere sul fabbisogno sanitario nazionale standard. Si aggiungono però 860 milioni per la scorta nazionale di dispositivi di protezione individuale, mascherine chirurgiche, reagenti e kit di genotipizzazione e altri 42 milioni “per lo sviluppo di sistemi informativi utili per la sorveglianza epidemiologica e virologica e per l’acquisizione di strumentazioni utili a sostenere l’attività di ricerca e sviluppo correlato ad una fase di allerta pandemica”.
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