"Criticità nella riforma dell'assistenza territoriale. Ora ruoli apicali per gli infermieri"
Marcello Gemmato, responsabile Sanità di Fdi, parla a Nursind Sanità e tra l'altro attacca il ministro uscente Speranza: "Da lui piglio verticistico sul Pnrr come per il Covid"

“L’Europa probabilmente non ce la farà cambiare, ma la riforma della sanità territoriale presenta molti punti critici, a partire dalla dislocazione delle case di comunità e dai costi per il personale”. Marcello Gemmato, deputato, responsabile Sanità di Fratelli d’Italia e molto vicino alla leader Giorgia Meloni, spiega a Nursind Sanità perché, secondo lui, sarebbe opportuna una profonda revisione della riforma della sanità territoriale: “La mission 6 del Pnrr, 15,6 miliardi, istituisce 1350 case di comunità, 605 Cot (Centrali operative territoriali), 400 ospedali di comunità. Non è chiaro come riusciremo a finanziare nella ordinarietà queste strutture”, aggiunge Gemmato che non rinuncia a una stoccata al ministro Roberto Speranza: “Da lui piglio verticistico, solo dopo mia richiesta è venuto in commissione a spiegare la riforma”. Il deputato e farmacista barese sottolinea poi la necessità di valorizzare la figura dell’infermiere: “Nella sanità del futuro secondo noi è fondamentale che si vada verso l’istituzione di figure dirigenziali agli infermieri” e apre alla possibilità per gli infermieri stessi di lavorare in regime di libera professione intramuraria.
Onorevole, lei ha proposto di modificare il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella parte relativa alla riforma della medicina territoriale e non sono mancate prese di posizione contro questa ipotesi…
Non ho detto che il Pnrr deve essere cambiato, ma ho messo in evidenza alcune criticità che sono quelle relative alle Case di comunità. Credo sia difficile cambiarlo perché c’è la pressione dell’Unione europea sul rispetto dei tempi. Ho registrato semplicemente le difficoltà di attuazione dello stesso e il fatto che le Case di comunità, per come sono pensate, non riusciranno a recuperare quel gap che si è creato nella sanità territoriale a seguito del Dm 70 del 2015, che aveva razionalizzato e chiuso molti ospedali senza potenziare il territorio. Quando c’è stata la pandemia noi siamo stati i primi per mortalità, terzi per letalità.
Cos’è che non va nella riforma della sanità territoriale immaginata dal ministro Speranza?
A mio giudizio l’intendimento di strutturare una sanità territoriale non può passare da una riforma basata su 1350 Case di comunità che sono parametrate una ogni 40-50mila abitanti. Significa che quei comuni che hanno 1000-2000 abitanti non avrebbero una sanità territoriale degna. Con una casa di comunità ogni 40mila abitanti e prendendo in considerazione comuni di 800-1000 abitanti, vuole dire avere una struttura che copre 20-30 comuni.
Dunque, il nodo è logistico?
In una valle montana significa essere distanti 30-45 minuti dalla struttura e sguarnire le postazioni. Il Medico di famiglia che lavora in una valle dovrebbe andare a servire nella Casa di comunità che però spesso si trova lontana, abbandonando il proprio territorio di appartenenza. Noi condividiamo i dubbi dei medici di medicina generale.
C’è poi il problema delle risorse necessarie a far funzionare queste strutture…
Sì, un dubbio riguarda anche i costi. La mission 6 del Pnrr, 15,6 miliardi, istituisce 1350 case di comunità, 605 Cot (Centrali operative territoriali), 400 ospedali di comunità. Non è chiaro come riusciremo a finanziare nella ordinarietà queste strutture: costi fissi legati al riscaldamento che oggi pesa di più, la guardiania, le spese correnti, il personale. Come lo paghiamo questo personale, fermo restando che non ci sono medici e infermieri a sufficienza? Sembra una misura spot per dire che si sta facendo qualcosa per poi non approdare a nulla. Sono soldi che noi prendiamo in larga parte a debito, non lo dimentichiamo.
I parlamentari e le professioni sanitarie sono stati coinvolti a sufficienza secondo lei?
Direi proprio di no. Segnalo che la Commissione Affari sociali della Camera, di cui sono segretario, ha avuto un solo contatto con il ministro Speranza sul Decreto ministeriale 71 poi diventato Dm 77 (il testo ministeriale che definisce i modelli standard dell’assistenza territoriale, ndr). Lessi una dichiarazione di un dirigente del ministero sul decreto e chiesi alla presidente di commissione: possibile che un dirigente è a conoscenza delle linee guida del testo che si stava promulgando e noi che siamo la commissione Affari sociali non ne sappiamo niente? A seguito di questa mia richiesta, il ministro Speranza è venuto in commissione a raccontarcela. Se non siamo stati sentiti noi, che avremmo dovuto avere il ruolo di motore politico dell’azione di governo, figuriamoci gli operatori sanitari.
Un po’ di difficoltà di comunicazione con la struttura ministeriale?
Più che altro registro un piglio dirigista che c’è stato nell’azione di governo prima con Conte e poi con Draghi, con decretazione spinta e riconversione parlamentare. C’è stata una chiusura del ministero nella gestione del Covid. Noi abbiamo criticato a 360 gradi le decisioni assunte e purtroppo questo metodo è andato avanti anche nella fase di gestione del Pnrr.
Passiamo alle professioni sanitarie. Come valorizzare gli infermieri? L’infermiere di famiglia va implementato?
Io capisco che le funzioni riconosciute nelle Case di Comunità attraggano gli infermieri, perché giustamente vedono riconosciuta la loro professionalità. A nostro avviso il tema esiste non solo in termini contrattuali ed economici, perché gli infermieri italiani sono tra i meno pagati in Europa, ma anche perché la professione non vede uno sbocco apicale nel momento in cui si acquisisce la laurea in professioni infermieristiche.
Soluzioni?
Nella sanità del futuro secondo noi è fondamentale che si vada verso l’istituzione di figure dirigenziali destinate agli infermieri. Il corso di studi in scienze infermieristiche è un vero e proprio corso di laurea. Quindi le funzioni apicali non possono essere riservate a pochi, ma bisogna allargare la possibilità di ricoprire ruoli chiave.
Pensa anche che si possa andare verso l’introduzione della libera professione infermieristica, chiesta a gran voce dalla categoria?
Quello che accade per i medici dovrebbe avvenire per gli infermieri. Ho presentato anche un emendamento che purtroppo mi è stato bocciato. Vi è penuria di erogazioni di prestazioni sanitarie da parte della categoria. Un infermiere volenteroso che ha un contratto col pubblico, negli orari non lavorativi, deve poter prestare servizio in libera professione. Anche questa è una necessità. Se noi diciamo che abbiamo pochi infermieri, poi dovremmo metterli nelle condizioni di svolgere delle mansioni che consentano loro di lavorare di più.
È circolato il suo nome come ministro della Salute o sottosegretario…
Non lo dico come frase di circostanza, credo che non farò né il ministro né il sottosegretario, ma continuerò ad occuparmi di sanità stando in Parlamento.