07 Dicembre 2022

AAA cercasi infermieri: attrattività ai minimi per stipendi e percorsi di carriera

Aumenta il fabbisogno delle Regioni, ma calano le domande. E l'offerta di posti delle università, pur crescendo, rimane il collo di bottiglia. Ecco le ragioni di una crisi che va oltre la carenza di risorse

Di Ulisse Spinnato Vega
Un momento del congresso Nursind
Un momento del congresso Nursind

Il fabbisogno espresso dalle Regioni aumenta mentre il numero di domande si contrae. È il paradosso che vive la professione infermieristica, nobile tanto da diventare “eroica” duramente la pandemia, eppure sempre meno attrattiva per i giovani a causa di stipendi bassi e condizioni di lavoro difficili, spesso mortificanti per le carenze di organico nelle strutture sanitarie e per i crescenti rischi di incidenti e aggressioni nel rapporto con l’utenza.

Secondo i dati elaborati da Angelo Mastrillo (primo a sinistra nella foto), segretario della Conferenza nazionale corsi di laurea delle professioni sanitarie e docente in Organizzazione delle professioni sanitarie a Bologna, dal 2001 a oggi le Regioni hanno praticamente raddoppiato il fabbisogno di infermieri da 12mila a oltre 24mila l’anno, con una soglia 2022 che tocca per la precisione quota 24.612 contro i 23.719 dell’anno scorso e si discosta di poco meno di 5mila unità rispetto alle richieste espresse da Fnopi (29.316). Nel frattempo, però, le domande di ammissione ai corsi di laurea in infermieristica sono crollate dal picco di 45mila del 2010 a 26.130 di quest’anno. Mastrillo, per la verità, offre una chiave di lettura prudente su questo dato: "Va detto che c'è anche un calo dei diplomati alla scuola media superiore. Inoltre, il picco di un decennio fa fu una sorta di bolla legata in buona parte alla crisi finanziaria e del debito sovrano, che spinse molti a cercare lavoro nel pubblico e nella sanità". In tutti i casi, è evidente come si stia chiudendo la forbice tra fabbisogno regionale e domande, mentre il collo di bottiglia rimane quello dell’offerta di posti nelle università, pur in aumento abbastanza costante fino ai 19.659 del 2022, quasi raddoppiati rispetto al 2001.

Siccome carenza alimenta carenza, i posti negli atenei comunque restano pochi perché poi le università non riescono a garantire il tirocinio a tutti. Peraltro, preoccupa anche il dato sui laureati, che nelle tavole di Mastrillo si attesta poco sopra il 70% nella previsione sui prossimi anni, un valore lontano dai picchi del 79% degli anni 2009-10. L’emorragia, va detto, avviene soprattutto tra il primo e il secondo anno del corso universitario, quando gli studenti ritentano l’ammissione a Medicina oppure a una delle altre lauree delle professioni sanitarie che spesso comportano meno stress e più gratificazioni.

Andando poi sulle macroaree del Paese, si nota una particolare densità di offerta di posti in Centro Italia: oltre 6.300, 49 per 100mila abitanti, un valore che addirittura sopravanza le domande. Spicca il Lazio che, secondo Mastrillo, "fa 3.500 infermieri in aula, mentre la Regione ne chiede 2.500. La Lombardia che ha il doppio degli abitanti offre appena 2mila posti su un fabbisogno espresso di 3.500". Anche al Nord, per la verità, le richieste di accesso sono quasi pareggiate dai posti offerti, ma il dato nazionale va in negativo a causa del Meridione, dove le domande sono oltre il doppio rispetto alle disponibilità degli atenei. Scendendo nell’analisi a livello di Regioni, si nota infine l’alto fabbisogno espresso dal Veneto (4.100 unità, 84 per 100mila residenti), mentre Campania e Sardegna sono fanalini di coda per la capacità di assorbimento delle università: appena 19 posti ogni 100mila abitanti contro una media nazionale di 33 (male, al Nord, anche Lombardia e Valle D’Aosta a quota 24 posti ogni 100mila residenti). Sul caso Veneto Mastrillo chiosa: "Hanno fatto una ipotesi già su numeri ottimali a regime".

Il docente ha presentato i suoi numeri a Roma, all’ottavo congresso del Nursind, e ha fornito la sponda a Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, per dire che da questo “lavoro prezioso” si capisce che “non serve togliere il numero chiuso per risolvere la carenza, il problema è la scarsa attrattività, legata sicuramente al riconoscimento economico, ma che deriva da 20 anni di normazione del lavoro pubblico e dal fatto che in Italia gli infermieri sono economicamente e giuridicamente tutti uguali, uno vale uno, e non esiste la possibilità di differenziare la funzione in base alle competenze specialistiche, le peculiarità che ogni infermiere può offrire al sistema sanitario nazionale”. “La professione è nata sul criterio mortificante della fungibilità – ha aggiunto Mangiacavalli di fronte alla folta platea del Nursind – con la logica di coprire i buchi. Noi non dobbiamo ingessare il sistema, ma dobbiamo suscitare interesse nei giovani circa il proseguimento degli studi” e “deve passare il messaggio di una professione intellettuale, anche sganciata da alcune mansioni manuali. Deve contare il presidio del processo decisionale” circa l’assistenza da fornire al paziente. Invece oggi “che io abbia un master, una laurea magistrale o un dottorato di ricerca, in Italia non conta” e “ci sono Regioni in cui gli studenti sono affiancati agli Oss per il tirocinio”. 

Poi esiste il problema della carenza di professori in scienze infermieristiche. “Ce ne sono 60, uno ogni 1.300 studenti circa, e abbiamo fatto i miracoli”, ha rivendicato ancora Mangiacavalli, ribadendo che “la qualità la fanno certamente le strutture sanitarie sui tirocini, ma deriva anche dai nostri professori”. Il dibattito al congresso Nursind sull’attrattività della professione ha visto tra i protagonisti un effervescente Domenico De Masi. Il sociologo del lavoro, riflettendo sull’innovazione tecnologica, ha tra l’altro riconosciuto agli infermieri di incarnare “uno dei pochi mestieri che non subiscono la concorrenza delle macchine, perché svolgete un lavoro che tocca la sfera dell'affettività. Tutti passano nella loro vita dagli infermieri. Se se ne trovano pochi, è perché vanno pagati di più: questo dice la legge economica del neoliberismo e noi non siamo certo un Paese comunista. Tutti gli elementi sociologici strutturali sono dalla vostra parte. La vostra professione non è destinata a perdersi perché gioca un ruolo ineludibile. Sappiate dunque far valere gli elementi strutturali – ha esortato De Masi – che sono tutti a vostro favore”. Parole chiosate nuovamente da Mangiacavalli: “La tecnologia non potrà mai sostituire il processo decisionale assistenziale, gestito e presidiato dall’infermiere. Io traduco il concetto di affettività con competenza e professionalità” che secondo la presidente Fnopi si esprimono grazie al “tempo passato accanto alla persona assistita per comprendere i suoi bisogni”.

Le slide del professor Mastrillo


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