Carenza infermieri, "Le Regioni non investono a sufficienza"
Rosaria Alvaro, prorettrice di Tor Vergata, a Nursind Sanità: "La formazione? Nell'ultimo contratto di comparto è previsto abbastanza, ma va recepito dalle aziende sanitarie e questo non sempre avviene"

“Nell’ultimo contratto del comparto è previsto abbastanza dal punto di vista della formazione: il problema è recepirlo nell’ambito dell’organizzazione aziendale. Questo non sempre avviene”. La professoressa Rosaria Alvaro, docente di Scienze Infermieristiche all’Università Tor Vergata di Roma, parla a tutto tondo a Nursind Sanità delle prospettive future della professione infermieristica, anche alla luce dell’ultimo rinnovo contrattuale.
Fresca di nomina come prorettrice dello stesso ateneo romano con delega all’Innovazione sociale, Alvaro è la prima infermiera in Italia a ricoprire tale ruolo: “Con questa nomina siamo arrivati ad ottenere ciò che hanno anche le professioni più storiche. È un risultato importante essere entrati nell’università non solo come professori, ma anche negli organismi apicali. Mettere a disposizione la nostra cultura e la nostra professionalità è una grande soddisfazione”.
Un traguardo per nulla scontato, se si pensa che il percorso universitario per gli infermieri è stato introdotto solo nel 1996. “La nostra è una professione giovane nel mondo dell’università. Oggi siamo arrivati ai vertici avendo ormai dieci professori ordinari e sessanta in totale tra prof e ricercatori associati. Un numero importante, considerando il breve tempo che abbiamo avuto. Sono stati decisivi anche la formazione quinquennale e la possibilità di conseguire il dottorato di ricerca che ci ha consentito di raggiungere i vertici pure in altre istituzioni. Penso alla vicepresidente del Consiglio superiore di sanità, la professoressa Paola Di Giulio, che è una infermiera. O ai cinque direttori generali di aziende, che sono infermieri, e altri che ricoprono incarichi di vertice in unità operative complesse con una responsabilità clinico-assistenziale importante che prima era riservata ad altri”.
La professoressa Alvaro, che a Tor Vergata è anche presidente del corso di laurea triennale in Infermieristica e Magistrale di Scienze Infermieristiche ed Ostetriche ed è coordinatore dei profili professionali di area sanitaria della facoltà di Medicina e Chirurgia, non nasconde che per una donna è ancora più difficile arrivare a queste posizioni apicali: “Le donne vivono una situazione personale che necessariamente impatta sulle possibilità di carriera. Lo dicono i dati: oggi solo il 3% di loro è ai vertici di aziende importanti come amministratore delegato. Nelle università solo il 25% dei professori ordinari e il 38% dei professori associati sono donne. Rispetto al passato oggi le cose stanno cambiando, ma rimangono delle difficoltà perché i criteri di meritocrazia sono difficili da calare nel mondo femminile. Dobbiamo fare ancora qualche sforzo”.
Quello che è ormai evidente è che la professione infermieristica sta evolvendo e che l’infermiere di oggi non è più quello di 30 anni fa. “È cambiato l’approccio allo studio, l’impegno che viene richiesto, le responsabilità e le norme che regolamentano l’esercizio professionale – spiega ancora Alvaro -. L’infermiere consegue un dottorato di ricerca non solo nel suo specifico disciplinare, ma anche in altre discipline come nell’area economica, giuridica, psicosociale. In generale, oggi viene richiesto all’infermiere un impegno maggiore, a partire appunto dallo studio". Del resto, continua la prorettrice, “prima del 1996 la professione era basata sul mansionario, aveva tutta una serie di dipendenze e di ausiliarità rispetto ai medici o ad altre professioni con laurea. Oggi ci approcciamo in maniera diversa avendo consapevolezza delle nostre competenze”.
Quanto al tema di questi anni, quello della carenza di professionisti, che sta assumendo sempre più il carattere dell’emergenza, Alvaro ha le idee chiare: “Troppo spesso le Regioni non investono nella formazione infermieristica e bisognerebbe interrogarsi sul perché. Le università sono arrivate a chiedere il massimo di posti possibile rispetto alle risorse disponibili. Ma voglio ricordare che gli atenei si appoggiamo a sedi esterne per i corsi. Senza, infatti, non sono in grado di gestire numeri alti. Tali sedi, però, hanno necessità di avere dei finanziamenti. Altrimenti tutti i direttori delle aziende sanitarie o di altre strutture che danno la disponibilità per attivare i corsi iniziano a chiudere”. Ed ecco il cortocircuito perché, come sottolinea la prof, “è evidente che senza finanziamenti è impossibile ampliare il numero dei posti. La Regione Lazio, ad esempio, l’ultimo finanziamento l’ha erogato nel 2007”.
Non bisogna dimenticare, poi, altri problemi strutturali alla base della carenza di infermieri: “I dati ci dicono che i giovani che decidono di intraprendere questa professione vengono da famiglie con reddito medio basso e molto spesso non hanno la possibilità di trasferirsi in altre città per studiare”. Di qui “un disallineamento del numero delle richieste per l’accesso ai corsi tra Nord e Sud. Molte università, quindi, hanno tenuto per ragioni strutturali numeri bassi”.
La nota positiva per la professione è il rinnovo del contratto del comparto 2019-2021, che sul fronte della formazione contiene importanti novità migliorative. Ma non è detto che bastino. “È previsto abbastanza, il problema è recepirlo nell’ambito dell’organizzazione aziendale – spiega la prorettrice di Tor Vergata -. Del resto, la legge del 2006 già prevede competenze specialistiche per l’infermiere e, quindi, un percorso di carriera, ma non è stata quasi mai applicata nelle strutture”.
Le possibilità di carriera, appunto. “Non c’è dubbio che incidono molto sull’appetibilità del lavoro di infermiere. Se io entro come operatore professionale e resto sempre allo stesso livello di inquadramento, avendo solo una possibilità di carriera gestionale come coordinatore o dirigente dei servizi, è naturale che sia poco incentivato a restare nella professione”.
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