"La libera professione degli infermieri? Ecco come realizzarla"
A Nursind Sanità parla Andrea Guandalini, presidente dell'Opi di Mantova: "Lavoro in uno studio, siamo 18 colleghi e garantiamo la continuità assistenziale. Ma ora serve la convenzione diretta con il Ssn"
Di Ulisse Spinnato Vega
L’obiettivo è arrivare alla vera libera professione degli infermieri attraverso una convenzione quadro con il Servizio sanitario nazionale, simile a quella dei medici di medicina generale, all’interno della quale poter stipulare altre convenzioni ed essere accreditati, ad esempio, a livello provinciale o di aziende sanitarie. Il modello circola in modo sempre più diffuso nelle riflessioni dei professionisti della salute e malgrado manchi una norma statale in tal senso, qualche esperimento pionieristico in Italia esiste già. Il presidente dell’Opi (Ordine professioni infermieristiche) di Mantova, Andrea Guandalini, racconta a Nursind Sanità: “Da 20 anni faccio attività libera con partita iva, come un qualunque altro professionista. Lavoro in associazione, siamo uno studio professionale composto solo da infermieri, 18 infermieri. E non credo ce ne siano molti nel Paese”. Poi aggiunge: “L’associazione ti permette di assicurare la cosa più importante, ossia la continuità assistenziale. Non c’è un singolo che offre una prestazione e che può ammalarsi o venir meno, ma un pool che garantisce un servizio”.
Il decreto Milleproroghe ha aperto uno spiraglio procrastinando fino alla fine del 2025 per gli operatori sanitari, e dunque anche per gli infermieri, la possibilità di praticare la professione in extramoenia per un monte ore settimanale che si allarga da quattro a otto. Ma Guandalini boccia la soluzione: “La vera libera professione non può essere limitata a un dato numero di ore e non ha nemmeno senso collegarla a un calcolo orario: di solito le attività intellettuali libere sono vincolate a progetti, obiettivi o comunque a determinati servizi. In più qui serve l’accordo vincolante con il datore di lavoro che decide a sua discrezione, ma la professione libera non funziona così”. Infine, spiega il presidente Opi di Mantova, “deve essere il Codice civile a definire la mia attività, non un decreto Milleproroghe”.
Guandalini e i suoi colleghi già lavorano con i medici di base: “Noi fatturiamo a loro o ai pediatri di libera scelta e poi loro si fanno rimborsare dall’Ats in base all’accordo collettivo. Nel 2023 Regione Lombardia ha stanziato 10 milioni di euro a questo scopo. Ma per me è una distorsione”. Il progetto è invece quello di arrivare a un accordo in convenzione diretto tra infermieri e Ssn per raggiungere un’autonomia autentica, fondata sul lavoro in team, esattamente come avviene per i medici di famiglia, allo scopo di garantire l’assistenza primaria. “Questo mobiliterebbe risorse e darebbe stimoli pure ai giovani che oggi non intravedono un futuro allettante nella professione infermieristica. Saprebbero invece che non c’è solo la prospettiva dei turni in ospedale e soprattutto si potrebbe garantire una vera prossimità alle persone, che non significa soltanto andarle a visitare a casa per dieci minuti, ma conoscere la loro storia, il loro vissuto”.
Oltre ai medici di base, lo studio del presidente Opi Mantova ha committenti principalmente istituzionali: aziende sanitarie, fondazioni di diritto privato, società cooperative. Ma anche associazioni e onlus, per esempio centri socioeducativi per ragazzi disabili. E la certificazione Iso 2015 garantisce la tracciabilità delle attività. “Siamo una delle poche realtà accreditate presso il Mepa (Mercato elettronico della Pubblica amministrazione, gestito da Consip, ndr) – aggiunge Guandalini – Lo abbiamo fatto per poter collaborare con i Comuni sull’assistenza domiciliare. Se queste esperienze fossero messe a sistema, potremmo arrivare lì dove il Ssn non riesce a coprire”. Mancando una normativa chiare e puntuale, “noi facciamo lo slalom per portare avanti la nostra attività. Per esempio, abbiamo l’autorizzazione per gestire ambulatori, anche in collaborazione con le amministrazioni comunali, ma questi presidi andrebbero implementati per dare più capillarità”, chiarisce il presidente Opi Mantova.
Come si incastra questa idea di riassetto con i progetti di riforma dell’assistenza territoriale contenuti nel Pnrr? “Secondo me le Case della comunità possono essere un punto di riferimento, ma deve esserci altro: serve un’organizzazione infermieristica autonomia e indipendente sul territorio, sulla falsariga dei medici di base – chiarisce Guandalini – Vedo bene l’infermiere di famiglia o comunità collocato in seno al Dipartimento cure primarie e collegato al Ssn con un convenzionamento diretto. D’altra parte, per avere determinate garanzie il Servizio sanitario richiede certificazioni che è più opportuno forniscano associazioni e non il singolo. Per esempio rispetto a una valutazione numerica sul numero di assistiti over 65 presi in carico in una data area territoriale di riferimento”. In effetti, come dimostrato da svariate indagini demografiche, lo scenario post-pandemico vede i cittadini avere molta fiducia negli infermieri: il Censis, per dire, testimonia che il 92,7% degli italiani sente la necessità di poter contare su più professionisti della salute, con un ruolo più incisivo nel Ssn. E non solo rispetto all’urgenza, ma soprattutto per proiettarsi verso una sanità più efficiente sul terreno dei servizi domiciliari e territoriali.
Sempre più vicini ai nostri lettori.
Segui Nursind Sanità anche su Telegram