Master nel cv e competenze versatili: ecco l'Infermiere di famiglia o comunità
L'identikit della figura introdotta nel 2020 arriva da un documento curato da Agenas. Il Pnrr ne decreta il valore in un modello assistenziale non più fondato sulla centralità dell'ospedale
Di Ulisse Spinnato Vega
Ampie competenze core di carattere sanitario e sociosanitario, un curriculum che preferibilmente deve contemplare il master accademico specifico e mansioni con diversi livelli di complessità che consentano di giocare da trait d’union interdisciplinare tra le molte figure che si muovono sul terreno dell’assistenza. Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, enuclea in un documento di 26 pagine le linee di indirizzo che tracciano l’identikit del nuovo Infermiere di famiglia o comunità (Ifoc). Il Dm 77 del 2022 prescrive che questa figura sia presente con almeno un’unità ogni 3mila abitanti, incarnando un “riferimento che assicura l’assistenza infermieristica, ai diversi livelli di complessità, in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità in cui opera”, ricorda Agenas.
Istituito con il decreto Rilancio del 2020, quando infuriava il Covid e la medicina territoriale si dimostrava l’anello debole del sistema salute, il profilo dell’Infermiere di famiglia o comunità ha ricevuto un’ulteriore legittimazione, nell’agosto 2020, con il varo del Piano nazionale della prevenzione 2020-2025. Ma solo adesso la figura sta assumendo contorni più precisi e un contributo importante in tal senso arriva proprio dal documento Agenas, redatto da un gruppo di lavoro cui hanno partecipato 10 Regioni, l’Università di Torino, la Scuola superiore Sant'Anna - Laboratorio MeS, le società scientifiche Aifec e Aprire oltre alla Fnopi. L’idea è quella di affidare un ruolo cruciale all’Ifoc, soprattutto in virtù della riforma dell’assistenza territoriale disegnata dal Pnrr (Missione 6 Componente 1).
D’altronde, spiega Agenas, serve “un modello assistenziale diverso da quello centrato sull’ospedale”, in ragione di tendenze strutturali come l’invecchiamento delle popolazione, l’aumento delle patologie croniche, l’incremento degli over 65 che vivono da soli e la crescita del numero di anni vissuti dagli anziani in condizione di disabilità. “L’assistenza sanitaria territoriale diventa luogo elettivo per attività di prevenzione e promozione della salute, percorsi di presa in carico delle persone affette da cronicità”, aggiunge il documento, secondo cui “nel corso degli anni, la professione infermieristica, a seguito di un processo di espansione ed estensione del ruolo, attraverso la formazione, ha realizzato in tutto il mondo esempi di assistenza avanzata nelle cure primarie”. Agenas passa preliminarmente in rassegna le pionieristiche esperienze territoriali che in qualche modo hanno anticipato la figura attuale dell’Ifoc. A cominciare dal Progetto ‘Infermiere di comunità’ nato sperimentalmente nel 1999 in Friuli-Venezia Giulia. Poi però è arrivato il ciclone della pandemia che “ha prodotto effetti che hanno modificato e trasformato il quadro epidemiologico e di cui tenere conto per l’organizzazione dei servizi territoriali”, osserva il paper.
L’introduzione dell’Infermiere di famiglia, secondo lo studio, deve “rafforzare il sistema assistenziale sul territorio” per “una maggiore omogeneità ed accessibilità dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, favorendo l’integrazione di diverse figure professionali”. Ma l’Ifoc in particolare deve assicurare il supporto infermieristico ai diversi livelli di complessità ed è anche un “potenziale attivatore di servizi assistenziali per bisogni sociosanitari latenti”. Tre le altre funzioni, egli agisce “in modo proattivo per la promozione di idonei stili di vita” e per “l’intercettazione precoce dei bisogni e la loro presa in carico”. Ma soprattutto l’Infermiere di famiglia o comunità “svolge la sua attività inserito in una più ampia rete di protezione sanitaria e sociale, in grado di attivare e supportare le risorse di pazienti e caregiver, del volontariato, del privato sociale, e più in generale della comunità”. Dunque, notazione importante, “il tempo che dedica alla relazione con la persona, gli altri operatori e i soggetti della rete dei servizi formali e informali va considerato tempo di cura”. L’Ifoc, inoltre, deve contribuire alla programmazione delle attività, occuparsi di educazione sanitaria e “valorizza e promuove il coinvolgimento attivo della persona e del suo caregiver”. Infine, lavora in team con gli altri professionisti sanitari e “utilizza sistematicamente strumenti digitali, telemedicina e teleassistenza”.
Secondo il documento Agenas, l’intervento dell’IFoc si sviluppa sostanzialmente in tre ambiti: quello ambulatoriale, quello domiciliare e quello comunitario. Ma anche in “strutture residenziali e intermedie (strutture socio-sanitarie) con attività di consulenza, monitoraggio e attivazione di risorse in base ai bisogni rilevati, per garantire la continuità assistenziale tra i diversi contesti di cura”. Tra le variegate competenze core, maturate attraverso la formazione specialistica post base, c’è naturalmente la valutazione dei bisogni di salute delle persone di tutte le età, la conoscenza dei fattori di rischio ambientali, ma anche “la tutela di un sano inizio della vita”. E poi la presa in carico sia “delle persone sane o con malattie croniche” oppure con “livelli elevati di rischio” sia “delle persone con disagio psichico” o “comportamenti di dipendenza”. Nella lunga lista compare anche “la lettura e analisi del contesto comunitario, attraverso un processo partecipativo tra i vari stakeholder di riferimento del territorio” o “il coinvolgimento attivo degli individui e delle famiglie nelle decisioni relative alla salute e al benessere personale”. Insomma, l’Ifoc è una figura sanitaria che però sa muoversi a tutto tondo nel contesto assistenziale, socioassistenziale e nella comunità territoriale di riferimento.
Il documento precisa poi che l’Infermiere di famiglia o comunità è “un dipendente del Ssr che afferisce al distretto sanitario e si inserisce nell’organizzazione territoriale aziendale, all’interno delle Case della comunità, Centrali operative territoriali, Ospedali di comunità e Unità di continuità assistenziale”. Inoltre, Agenas precisa che bisogna superare il “modello prestazionale, che sinora ha caratterizzato l’attività degli infermieri nei servizi territoriali”, per cui l’Ifoc deve svolgere “una funzione integrata e aggiuntiva a tali interventi”. Riguardo alla formazione, si è fatto cenno alla necessità che l’Ifoc detenga un master di primo livello in Infermieristica di famiglia e di comunità, conseguito nelle università italiane che lo offrono. Ma per coloro che non sono ancora in possesso di questo titolo si contempla “la possibilità di realizzare percorsi formativi specifici di tipo regionale” (secondo un modello allegato al documento), iter che poi possono essere successivamente integrati e riconosciuti a livello universitario.
Infine, sul versante del reclutamento, al netto della corsia preferenziale garantita ai professionisti in possesso del master specifico, il documento ipotizza di “prevedere la valorizzazione degli infermieri che operano già in ambito territoriale e che vi abbiano maturato almeno un’esperienza biennale”. Naturalmente, queste figure “dovranno intraprendere uno specifico percorso formativo regionale”. O infine, chiude Agenas, potrebbero accedere al ruolo di Ifoc anche coloro che vantano una laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche, “in ragione delle competenze acquisite in termini metodologici, di progettazione, purché i candidati intraprendano lo specifico percorso formativo”.
Sempre più vicini ai nostri lettori.
Segui Nursind Sanità anche su Telegram