10 Ottobre 2023

Infermieri, Gimbe: in Italia solo 6 per mille abitanti, nell'Ocse sono 10

Presentato il sesto Rapporto sul Ssn della Fondazione Gimbe. Cartabellotta: "Probabile che i dati 2021 sottostimino la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati"

Di NS

Nel 2021 sono 298.597 gli infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie: 264.768 dipendenti del Ssn e 33.829 dipendenti delle strutture equiparate al Ssn. La media nazionale è di 5,06 per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,59 della Campania ai 6,72 del Friuli Venezia Giulia con un gap dell’87,2%. Numeri dai quali emerge come l’Italia si collochi ben al di sotto della media Ocse (6,2 vs 9,9 per 1.000 abitanti). Anche guardando poi al rapporto medici/infermieri emerge con forza come le restrizioni di personale abbiano colpito di più quello infermieristico. Nel 2021 il rapporto nazionale infermieri/medici tra il personale dipendente è di 2,4, con un range che varia dagli 1,83 della Sicilia ai 3,3 della Provincia autonoma di Bolzano, con un gap dell’80,3%. Fatta eccezione per il Molise, le Regioni in Piano di rientro si trovano tutte sotto la media nazionale. Ancora una volta l’Italia si colloca molto al di sotto della media Ocse (1,5 vs 2,7) per rapporto infermieri/medici, in Europa davanti solo a Spagna (1,4) e Lettonia (1,2).
Sono solo alcuni dei dati contenuti nel sesto Rapporto sul Servizio sanitario nazionale che la Fondazione Gimbe ha presentato oggi al Senato e che spazia appunto dal personale alla missione Salute del Pnrr, dal finanziamento pubblico alla spesa sanitaria (tema oggetto di una recente denuncia del Gimbe), dai Livelli essenziali di assistenza alle diseguaglianze regionali e alla mobilità sanitaria, sino al Piano di Rilancio del Ssn.

Proprio sul personale si sofferma il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta, mettendo in evidenza tra l’altro che "le fonti disponibili non permettono di analizzare in maniera univoca, sistematica e aggiornata la reale forza lavoro del Ssn impegnata nell’erogazione dei Lea. Inoltre, i dati relativi al 2021 verosimilmente sottostimano la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati negli anni 2022-2023. Ancora, le differenze regionali sono molto rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nelle Regioni in Piano di rientro. Infine, i benchmark internazionali relativi a medici e infermieri collocano il nostro Paese poco sopra la media Ocse per i medici e molto al di sotto per il personale infermieristico, restituendo di conseguenza un rapporto infermieri/medici tra i più bassi d’Europa".

E sempre sulla carenza di personale, soprattutto infermieristico, torna a battere il Rapporto anche quando affronta il capitolo della Missione Salute del Pnrr: "Se è certo che rappresenta una grande opportunità per potenziare il Ssn – ha spiegato Cartabellotta – la sua attuazione deve essere sostenuta da azioni politiche. Innanzitutto, per attuare il DM 77 bisogna mettere in campo coraggiose riforme di sistema, finalizzate in particolare a ridisegnare ruolo e responsabilità dei medici di famiglia e facilitare l’integrazione con l’infermiere di famiglia; in secondo luogo, servono investimenti certi e vincolati per il personale sanitario dal 2027, oltre che un’adeguata rivalutazione del fabbisogno di personale infermieristico".

In generale, per Cartabellotta, "i princìpi fondanti del Ssn, universalità, uguaglianza, equità sono stati traditi. Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un Ssn ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure".
"Considerato che il progressivo indebolimento del Ssn dura da oltre 15 anni, perpetrato da parte di tutti i Governi – ha continuato Cartabellotta – non è più tempo di utilizzare il fragile terreno della sanità e i disagi della popolazione per sterili rivendicazioni politiche su chi ha sottratto più risorse al Ssn. Perché stiamo inesorabilmente scivolando da un Servizio Sanitario Nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata".

Una frattura che proprio sui Lea emerge con forza dal Rapporto: negli adempimenti cumulativi 2010-2019 nessuna Regione meridionale si posiziona tra le prime 10. Nel 2020 l’unica Regione del sud tra le 11 adempienti è la Puglia; nel 2021 delle 14 adempienti solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata. Sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni meridionali sono ultime tra quelle adempienti. Il focus sulla mobilità sanitaria documenta che i flussi economici scorrono prevalentemente da Sud a Nord: in particolare nel 2020, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto 'cubano' complessivamente il 94,1% del saldo di mobilità attiva.
Ecco che, quindi, sull’autonomia differenziata il numero uno della Fondazione è tornato ad accendere un faro, ricordando la richiesta avanzata in audizione presso la commissione Affari costituzionali del Senato "di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie, perché l’autonomia differenziata in sanità legittimerebbe normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute".

Ma in generale la richiesta che arriva dalla Fondazione è quella di "un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico del Paese”. Non mancano infine le soluzioni.
Ecco in sistesi il Piano di rilancio targato Gimbe:

LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE. Mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali (health in all).

APPROCCIO ONE HEALTH. Attuare un approccio integrato alla gestione della salute, perché la salute dell’uomo, degli animali, delle piante e dell’ambiente, ecosistemi inclusi, sono strettamente interdipendenti.

GOVERNANCE STATO-REGIONI. Rafforzare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel rispetto delle loro autonomie, per ridurre diseguaglianze, iniquità e sprechi.

FINANZIAMENTO PUBBLICO. Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità in maniera consistente e stabile, al fine di allinearlo alla media dei paesi europei.

LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA. Garantire l’uniforme esigibilità dei Lea in tutto il territorio nazionale, il loro aggiornamento continuo e rigoroso monitoraggio, al fine di ridurre le diseguaglianze e rendere rapidamente accessibili le innovazioni.

PROGRAMMAZIONE, ORGANIZZAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI SANITARI E SOCIO-SANITARI. Programmare l’offerta di servizi sanitari in relazione ai bisogni di salute della popolazione e renderla disponibile tramite reti integrate che condividono percorsi assistenziali, tecnologie e risorse umane, al fine di superare la dicotomia ospedale-territorio e quella tra assistenza sanitaria e sociale.

PERSONALE SANITARIO. Rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità: investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti sanitari, riformare i processi di formazione e valutazione delle competenze, al fine di valorizzare e motivare la colonna portante del Ssn.

 

 

Il Rapporto

 

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