16 Ottobre 2023

Manovra: alla sanità 3 miliardi per ridurre le liste d'attesa

La premier Meloni in conferenza stampa: "Non è vero che abbiamo tagliato". Prevista la detassazione di straordinari e premi di risultato. Anticipo da 2 miliardi sui rinnovi contrattuali

Di Ulisse Spinnato Vega

Lo sforzo finanziario cuba 3 miliardi di euro in più l’anno prossimo (oltre a 300 milioni per la Regione Siciliana), che diventeranno 4,2 miliardi a decorrere dal 2026. Con una missione prioritaria: abbattere le liste d’attesa. La legge di Bilancio 2024 accende i motori e la premier Giorgia Meloni si presenta in conferenza stampa, a Palazzo Chigi, per dire che le due misure chiave sulla sanità sono il rinnovo del contratto e la detassazione non solo degli straordinari, ma anche dei premi di risultato per il personale. Un risultato che comunque deve essere connesso alla riduzione dei tempi per esami e prestazioni. Poi il capo del governo si toglie qualche sassolino dalla scarpa: “Nei giorni scorsi ho sentito che noi avremmo tagliato i fondi per la sanità. Noi raggiungiamo il più alto investimento mai previsto” e dunque “le bugie non corrispondono alla realtà delle cose”.

Quindi Meloni, a sostegno della sua tesi, rispolvera i numeri che riguardano il Fondo sanitario: “Con i quasi 136 miliardi di euro” quest’anno “noi raggiungiamo il più alto investimento mai previsto”. Nel 2019, infatti, il Fondo “ammontava a 115 miliardi di euro, sono 20 miliardi di euro in meno”, mentre “negli anni del Covid” si “viaggiava tra i 122 e i 127 miliardi, vaccini compresi, e quindi mi sembra un po' forte sostenere che con 136 miliardi questo governo tagli la sanità”. La premier liquida poi come un “giochetto” l’operazione di parametrare la spesa al Pil nominale, metodo che invece serve a tener conto anche dei costi crescenti che il settore affronta, soprattutto in ragione della forte inflazione. E infine chiarisce: “Ci sono stati anni precedenti nei quali scendeva e adesso fortunatamente il Pil sale e l'incidenza è sicuramente diversa, ma è una buona notizia che il Pil salga”.

Certo, ci sarà da capire quanto la leva della detassazione su alcune voci dello stipendio possa sopperire al vero buco che riguarda la carenza e il mancato reclutamento di personale medico e infermieristico. Far lavorare di più chi è già dentro il Ssn non è la stessa cosa che avere risorse fresche negli organici. Tanto che il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega, a caldo commenta: “Se la strategia del governo si esaurisce nella detassazione degli straordinari e dei premi di risultato non risolveremo né il problema della carenza di infermieri né quello delle liste d’attesa”. In ogni caso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, chiosa: “Mancano medici e infermieri da reclutare, ricordo in particolare il problema degli infermieri” e dal governo è stato fatto uno “sforzo importante per dare leve adeguate al ministro Schillaci”. Come a dire che adesso la palla passa al titolare della Salute e tocca a lui mettere in campo le strategie giuste per attirare più personale, al di là dell’eventuale aumento delle ore lavorate da parte degli operatori attuali.

Il vulnus delle liste d’attesa è sensibile per tutta la maggioranza, tanto che in conferenza stampa ne fa cenno anche il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “Ieri in un discorso ho detto che le liste d'attesa sono una vergogna nazionale, e tutti quanti insieme abbiamo deciso di assestare un colpo veramente decisivo perché non si può morire di tumore o di qualche altra malattia perché ti fanno la Tac quando tu purtroppo non ci sei più”. Il segretario di Forza Italia non usa giri di parole: “Questa è una priorità che riguarda tutti i cittadini di tutta l’Italia, una vergogna alla quale noi dobbiamo mettere rimedio”.
 
La sanità occupa il sesto titolo della manovra, sulla base dell’indice visionato da Nursind Sanità, e oltre al rifinanziamento del Ssn, i nove articoli riguardano la rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica, le modifiche alle modalità di distribuzione dei medicinali, l’aggiornamento della soglia di spesa per gli acquisti di prestazioni da privati, la proroga del finanziamento delle quote premiali, i fondi per l’aggiornamento dei Lea, il contributo al Ssn, ulteriori misure per il potenziamento del sistema salute e dell’assistenza territoriale e, ovviamente, le misure per l’abbattimento delle liste d’attesa. In particolare, il Mef prevede risorse pari a 250 milioni di euro per il 2025 e 350 milioni a decorrere dal 2026 per il rafforzamento della medicina territoriale, “anche con riferimento a nuove assunzioni di personale sanitario”.

Il testo iniziale della legge di Bilancio all’articolo 10 rafforza la dotazione per i rinnovi contrattuali 2022-2024 della Pa, mentre l’articolo 11 prevede l’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive per il personale medico e infermieristico. E l’articolo 7 è dedicato alla detassazione dei premi di risultato. Sul terreno dei contratti, il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo, esulta: “Risposte a chi attendeva da anni”. Le risorse ammonterebbero complessivamente a 7 miliardi, ma Zangrillo fa un riferimento specifico agli operatori sanitari parlando di “segnale di riguardo ai nostri angeli custodi in un momento complesso per la sanità e in cui il contesto internazionale ci impone di tenere alta la guardia”.

Un paio di miliardi vengono peraltro anticipati nella busta paga di dicembre. In parallelo, infatti, il Cdm ha approvato il decreto fiscale che tra l’altro contiene una sorta di antipasto dei rinnovi. Nel testo che Nursind Sanità ha visionato si dice che “per il personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato dipendente dalle amministrazioni statali, in via eccezionale” arriva appunto a fine anno l’una tantum dello 0,5% sullo stipendio tabellare stabilita con la legge di Bilancio del governo Draghi, incrementata “a valere sul 2024, del relativo importo annuale moltiplicato per un coefficiente pari a 6,7, salvi eventuali successivi conguagli”. La dotazione di 2 miliardi è praticamente doppia rispetto allo stanziamento che aveva consentito all'esecutivo Meloni di erogare nella manovra dell’anno scorso l’emolumento accessorio per il solo 2023 (13 mensilità) dell’1,5% dello stipendio dei dipendenti pubblici.  

 

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