01 Marzo 2024

Perdita dell'udito, ne soffrono 7 milioni di italiani, il 30% è over 70

Gli esperti: la sordità non è una condizione in sè, ma il risultato di malattie dell'orecchio che possono essere prevenute. Fondamentale la diagnosi precoce. Anche perchè si tratta di patologie con un costo sociale di circa 36 mld di euro l'anno

Di NS
Foto di williamsje1
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Sono 7 milioni le persone in Italia che soffronto di patologie dell’orecchio e in generale di disturbi uditivi, E' il dato emerso durante la conferenza stampa "Sordità: una pandemia silenziosa"', in occasione della terza giornata nazionale  di sensibilizzazione sul tema promossa dalla Società italiana di otorinolaringoiatria e chirurgia cervico-facciale (SIOeChCF) e dalla Società italiana di audiologia e foniatria (Siaf). L’obiettivo dell’iniziativa, in vista della Giornata mondiale dell’Udito del 3 marzo, è stato quello di abbattere lo stigma e la ritrosia che circonda la perdita di udito (ipoacusia), promuovendo un cambiamento di prospettiva sulla cura  e incoraggiando un approccio proattivo. La salute dell’udito è, infatti, una priorità riconosciuta della salute pubblica e c’è bisogno di aumentare la consapevolezza riguardo alla sua importanza.

Spesso si pensa alla perdita di udito come a una malattia in sé da curare con apparecchi acustici a prescindere dalla causa. Ma non è così. La perdita di udito, in realtà, è un sintomo di diverse condizioni patologiche che possono essere risolte se diagnosticate in tempo, ma che diventano permanenti se trascurate. Per questo, al primo segnale, è assolutamente necessario farsi visitare da un medico otorinolaringoiatra o da un medico audiologo, le uniche figure che possono diagnosticare la tipologia del problema e individuare la cura corretta. "Gli ambiti di patologia di cui la sordità può essere sintomo possono essere svariati e quindi il rapporto specialistico medico paziente diventa un punto cruciale nella diagnosi precoce", avverte Giovanni Danesi, ex presidente di SIOeChCf. "Si va dalle malattie genetiche ed ereditarie come l’otosclerosi; alle otiti croniche sia dell’infanzia che dell’adulto stesso che devono essere tempestivamente trattate onde prevenire un decadimento neurale dell’udito; alle patologie infettive virali e non, come la meningite – prosegue – che può portare a sordità e che deve essere trattata tempestivamente prima che la coclea venga ossificata; fino alle patologie tumorali benigne come i tumori del nervo acustico".

 

Va sottolineato, prosegue l'esperto, "che queste patologie devono essere oggetto di sorveglianza continua mediante campagne di screening o di sensibilizzazione collettiva affinché una diagnosi precoce sia possibile, trattandosi di condizioni tempo-dipendenti. Proprio dalla mancanza di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico nasce l’esorbitante costo sociale della sordità che è calcolabile in circa 36 mld di euro all’anno e dovuta a costi assistenziali, disabilità e assistenza relativa, accompagnamento del paziente con ritardo cognitivo, astensione dal lavoro, costi sanitari e riabilitativi e relativo indotto". Conferma Domenico Cuda, direttore dell’Unità operativa di Otorinolaringoiatria all’ospedale di Piacenza ex presidente della SIOeChCf: "Molte persone arrivano tardivamente alla diagnosi con conseguenze non sempre rimediabili. Altre persone, invece, adottano soluzioni non appropriate rischiando di lasciare non diagnosticate malattie potenzialmente gravi. La sordità non è una condizione in sé, ma il risultato di malattie dell’orecchio che possono essere prevenute, diagnosticate e trattate efficacemente in ambito medico".

 

E, invece, come sottolinea Sara Ghiselli, specialista in audiologia e foniatria, dirigente del dipartimento ospedaliero di otorinolaringoiatria – Ambulatorio Centro Impianti Uditivi dell’Ospedale 'Guglielmo da Saliceto' di Piacenza, "parliamo di numeri sempre più in crescita: stiamo affrontando una pandemia le cui conseguenze includono una diminuzione della socialità, del benessere e delle capacità cognitive, con il rischio di deterioramento mentale negli anziani e ritardi nello sviluppo linguistico nei bambini. Parliamo di pandemia ‘silenziosa’ non solo perché si tratta di deficit dell’udito ma anche perché si riferisce a patologie trascurate che richiedono attenzione urgente da parte delle istituzioni".

 

"Il 30% dei soggetti oltre i 70 anni presenta una perdita uditiva - rimarca Nicola Quaranta, presidente Siaf -. Studi recenti hanno evidenziato che la perdita uditiva in età adulta rappresenta un rilevante fattore di rischio, modificabile per lo sviluppo del decadimento cognitivo nell’anziano. Un’importante implicazione è che la diagnosi e il trattamento precoce dell’ipoacusia mediante protesi acustica e impianto cocleare possono rallentare e prevenire il decadimento cognitivo dell’anziano".

Oltre agli anziani, però, i disturbi uditivi riguardano anche i più piccoli. "Come riportato nel recente documento dell’Oms del 2021 'World report on hearing', l’ipoacusia attualmente colpisce oltre un miliardo e mezzo di persone, ovvero il 20% della popolazione mondiale - ricorda Stefano Berrettini (Università di Pisa, ex presidente Siaf)-. Nella maggior parte dei casi si tratta di forme lievi, ma una parte sostanziale dei pazienti, circa 430 milioni di persone a livello mondiale, presenta una ipoacusia moderata, grave o profonda che, se non adeguatamente gestita può avere un impatto negativo sulla capacità di svolgere le attività quotidiane e sulla qualità della vita. In età infantile la problematica è particolarmente rilevante, infatti, ne sono colpiti l’1-2 su mille dei neonati, ma la prevalenza sale di 10-20 volte se consideriamo alcune categorie di neonati, come quelli che subiscono un ricovero in terapia intensiva neonatale. Ancora, a causa delle forme ad insorgenza tardiva e progressive, se consideriamo i bambini in età scolare, dai 5 ai 9 anni, la prevalenza sale all’1,5% e all’1,7% tra i 9 e 14 anni. Un deficit uditivo in età infantile, se non diagnosticato e trattato precocemente e adeguatamente, può avere conseguenze negative sullo sviluppo delle abilità uditive e del linguaggio, ma anche sugli apprendimenti, sullo sviluppo psicologico e globale del bambino, con inevitabili future ripercussioni sull’inserimento sociale e lavorativo". Anche se oggi, conclude, "grazie allo screening audiologico neonatale, i bambini con deficit uditivi possono avere uno sviluppo linguistico e globale che si avvicina molto a quello dei coetanei normoudenti".

 

 

 

 

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