14 Marzo 2024

Non siamo tutti uguali, più spazio alla medicina di genere

Arriva in Senato il ddl a prima firma Zullo (FdI) che spiega a Nursind Sanità: "E' necessario sensibilizzare personale e cittadini perchè si tenga conto delle differenze che esistono in termini epidemiologici, di prevenzione e risposta ai farmaci"

Di Marta Tartarini

In medicina non siamo tutti uguali, donne e uomini presentano differenze che riguardano lo stato di salute, l'insorgere delle patologie e l'uso ed effetto di farmaci e vaccini. Conoscere queste specificità è fondamentale per lo sviluppo di cure appropriate. Di questo si occupa la medicina di genere (Mdg), una materia di cui si parla poco, ma su cui si riaccendono i riflettori grazie a un disegno di legge, depositato in Senato da Fratelli d'Italia, a prima firma Ignazio Zullo, che parte proprio dalle "significative evidenze scientifiche di differenze di genere in numerosi ambiti di patologia". Il testo, che sarà presentato nei prossimi giorni, non è ancora incardinato in Commissione, ma i proponenti chiederanno che venga esaminato al più presto.

Il senatore Zullo anticipa a Nursind Sanità che la sua proposta "vuole diffondere la medicina di genere, non creando nuove figure o strutture - e infatti non abbiamo previsto uno stanziamento di risorse -, ma puntando sulla formazione e creando un raccordo tra i vari livelli: nazionale, regionale e Asl". Il problema non è tanto legislativo, bensì di "organizzazione e sensibilizzazione del personale e dei cittadini sulle differenze biologiche, perché - spiega il parlamentare - dobbiamo dare attuazione e operatività a una legge che c'è già, la numero 3 del 2018, varata quando era ministro Beatrice Lorenzin, che si proponeva proprio la diffusione di questa sensibilità. Credo quindi che sulla mia proposta si potrà trovare un interesse da parte di tutte le forze politiche", è l'auspicio di Zullo.

Il nucleo del disegno di legge è la costituzione di una Rete per la medicina di genere, istituita presso il ministero della Salute con la finalità, si legge all'articolo 4, "di sviluppare la ricerca scientifica, la formazione di medici e operatori sanitari e di informare la popolazione". Il tema riguarda anche la ricerca, perché "la sperimentazione clinica - osserva il parlamentare di FdI - è fatta spesso sugli uomini, quindi i farmaci sono testati sulle loro caratteristiche e reazioni". La Rete è il livello nazionale, poi la legge prevede a cascata interventi regionali e territoriali. 

Ma prima di vedere nel dettaglio l'articolato è bene ricordare i dati che dimostrano diversità di genere, dall'età pediatrica fino alla fase più matura. Nella relazione introduttiva si legge infatti che emergono differenze in tanti settori: "cardiologia, pneumologia, pediatria, ortopedia, cardiochirurgia, reumatologia, endocrinologia, nefrologia, oncologia, immunologia e malattie effettive". Differenze che si presentano "sia in termini epidemiologici che di prevenzione, manifestazioni cliniche e risposta ai farmaci".   

In termini generali, osserva Zullo, "sappiamo che le donne vivono più a lungo, ma sono più fragili dopo la menopausa e nella fase di invecchiamento mostrano maggiori fragilità e ricorrono a un uso maggiore di farmaci".
Ei più piccoli? I bambini soffrono maggiormente, ricorda il ddl, di "patologie respiratorie a differenza della fibrosi cistica che colpisce più gravemente i soggetti di sesso femminile". Più avanti nell'età invece, le malattie cardiovascolari colpiscono gli uomini intorno ai 40 anni, mentre nelle donne la loro incidenza è maggiore dopo la menopausa, una fase in cui l'osteoporosi colpisce il 23% delle donne rispetto all'8% degli uomini.
Anche la pandemia da Covid non è stata omogenea, come ricorda la legge. Il virus ha riguardato prevalentemente gli uomini "con un livello di gravità più elevato", più frequenti ricoveri in terapia intensiva e una più alta mortalità. Al contrario "il long Covid ha avuto un maggiore impatto nel sesso femminile". 
Non mancano le differenze, inoltre, sul fronte dei farmaci: nel 2021, per esempio, è emerso che "il 67% delle donne ha ricevuto almeno una prescrizione contro il 58% degli uomini" e anche i vaccini hanno riscontrato reazioni differenziate, con le donne che hanno uno sviluppo di anticorpi più elevato ma anche maggiori fenomeni avversi.

 

Una casistica di differenze molto vasta, è evidente. Di qui l’input che arriva dalla legge a diffondere la medicina di genere. In particolare, come recita l’articolo 5, alle Regioni, entro 60 giorni dall'approvazione, si chiede di "avviare le attività di un gruppo tecnico per la programmazione delle attività di diffusione della medicina di genere”. Poi nelle Asl si prevedono programmi che valorizzino questa disciplina. Spazio anche alla ricerca (l’articolo 9), con un programma molto dettagliato nei suoi obiettivi, tra i quali quello di "favorire la sperimentazione di modalità di gestione e organizzazione dei servizi e delle pratiche cliniche", verificando il loro impatto sulla salute della popolazione. Senza tralasciare infine la formazione continua sulla medicina di genere che diventa obbligatoria per gli operatori sanitari, come recita l’articolo 11, e quella universitaria (articolo 12), predisponendo le linee d’indirizzo in ambito appunto di MdG per i programmi didattici delle scuole di medicina, delle scuole di specializzazione di area sanitaria, per i corsi di laurea delle professioni sanitarie e di farmacia e chimica e tecnologia farmaceutiche.

 

 

 

 

 

Il ddl

 

 

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