Tfs anticipato, i sindacati lanciano la petizione: "Stop al sequestro"
Mobilitazione delle confederazioni dei dipendenti pubblici, tranne la Cisl. Cavallero (Cosmed) a Nursind Sanità: "Non vogliamo più essere il bancomat di tutti". Colucci (M5s): "Con la mia legge puntiamo a mitigare l'impatto sui conti"

Il dado è tratto. Parte la mobilitazione dei sindacati del lavoro pubblico contro quello che definiscono “il sequestro delle liquidazioni”. Le confederazioni Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Codirp, dunque con l’ormai usuale assenza della Cisl quando si tratta di partire lancia in resta contro il governo, annunciano oggi una petizione, diretta all’esecutivo ma anche al Parlamento, “per porre fine alla dilazione del Trattamento di fine servizio (Tfs) e del Trattamento di fine rapporto (Tfr)” a carico dei dipendenti pubblici.
La storia è vecchia, nota e in gran parte figlia della stagione dell’austerity legata alla crisi dei debiti sovrani post Lehman Brothers, anche se c’è un precedente normativo a fine anni Novanta: a differenza di quanto avviene nel settore privato, i cui lavoratori ricevono di norma la cosiddetta buonuscita entro un paio di mesi dalla fine del rapporto di lavoro, i dipendenti pubblici, a seconda delle condizioni di accesso alla quiescenza, possono aspettare anche svariati anni per intascare la tanto sospirata liquidazione, in ragione di esigenze di cassa e di sostenibilità dei conti del loro datore di lavoro, ossia lo Stato.
Come accennato, il differimento di 12 mesi in caso di pensionamento di vecchiaia e 24 se si va in pensione anticipata era stato introdotto già nel 1997 dal governo Prodi, ma poi venne pesantemente inasprito nel 2010 dall’esecutivo Berlusconi, in quella primavera-estate di ambascia finanziaria che preluse al crollo del Cav, l’anno dopo, per la crisi dello spread. Nel 2019, peraltro, l’erogazione dilazionata è stata ulteriormente allargata per chi usciva con quota 100 o altre forme di anticipo pensionistico (con attese fino a sei o sette anni).
Per capire di cosa parliamo, le differenze tra il Tfs e il Tfr sono diverse: il primo riguarda solo i lavoratori pubblici già assunti alla data del 31 dicembre 2000. Peraltro il Trattamento di fine rapporto viene definito in ragione delle retribuzioni lorde annue (al netto dei contributi Inail) e prevede una serie di coefficienti e calcoli complessi, mentre il vecchio Tfs si basava sull'ultima retribuzione annua e dunque aveva spesso un importo più favorevole. Il lavoratore pubblico ha diritto sia al Tfr che al Tfs se ha iniziato, come detto, prima del 31 dicembre 2000. Altrimenti prende soltanto il Tfr.
In entrambi i casi, però, si tratta di salario differito. E qui la situazione si complica perché a metterci lo zampino è stata la Corte costituzionale che, dopo svariati moniti, l’anno scorso ha stabilito con la sentenza numero 130 come la trattenuta del Tfs sia in contrasto con il principio della giusta retribuzione sancito dall’articolo 36 della Costituzione. In pratica, in veste di datore di lavoro, lo Stato non sta rispettando i diritti fondamentali dei suoi dipendenti.
Da anni i sindacati protestano e rivendicano un ritorno alla normalità, di fronte a una disposizione che discrimina i travet pubblici rispetto ai dipendenti del privato. Oggi il Tfs viene corrisposto dopo un anno in un’unica soluzione solo se non supera i 50mila euro lordi. Altrimenti si va sulle due rate annuali per le somme tra 50 e 100mila e si arriva a tre rate annue per i valori superiori a 100mila euro. Condizioni inaccettabili per chi, dopo una vita di sacrifici, magari ha costruito sulla liquidazione un progetto importante per sé o per un figlio. Condizioni che peraltro non tengono conto delle fiammate inflattive che nel frattempo erodono il valore delle somme prima ancora che esse siano intascate.
Adesso le confederazioni sindacali, tra le quali Cgs, cui fa capo anche il Nursind, tornano a mobilitarsi: “È intollerabile che, nonostante i numerosi disegni di legge presentati da tutte le forze politiche, non sia stato ancora adottato alcun provvedimento concreto per risolvere questa ingiustizia, ma ci si limiti ad auspici, moniti, che non hanno concretamente risolto le varie penalizzazioni e riduzioni economiche che si stanno accumulando a carico dei dipendenti pubblici”.
Giorgio Cavallero, segretario generale della Cosmed (Confederazione sindacale medici e dirigenti), attacca a Nursind Sanità: “La Corte costituzionale ha già graziato il governo più volte. Oggi circola una ipotesi di soluzione minimale che vale 3 miliardi. Noi siamo anche pronti a eventuali trattative, ma non siamo più disposti a fare il bancomat di tutti come accade ormai da 14 anni. Non è ulteriormente tollerabile questa discriminazione a danno dei dipendenti pubblici. Si tratta di debiti che lo Stato deve pagare, ne va anche della credibilità finanziaria e creditizia del Paese”. I sindacati poi rincarano: “È ora che il legislatore intervenga con urgenza per porre fine a questo sequestro illegittimo”.
In effetti, il Parlamento si è mosso con vari progetti di legge, ma finora dal Mef è arrivato lo stop a qualunque proposta di anticipo dell’erogazione da 12 ai più fisiologici tre mesi, come chiesto dalla Consulta. Secondo la Ragioneria ridurre i tempi di pagamento costerebbe all’erario 3,8 miliardi di euro in un solo anno. Mentre l’Inps, ai tempi della presidenza di Pasquale Tridico, aveva calcolato un esborso annuo addirittura intorno ai 7 miliardi. Si stima infatti che la sentenza della Corte costituzionale riguardi ogni anno circa 150mila persone.
Alla Camera dei deputati giacciono due proposte di legge, una a firma Forza Italia e l’altra del Movimento 5 Stelle. Alfonso Colucci, l’esponente stellato primo firmatario, a Nursind Sanità, entra subito nel merito tecnico del nodo da sciogliere: “C’è per i conti pubblici un problema di cassa che va spalmata su vari anni di competenza. Il guaio è che mancano ancora dati precisi sull’impatto. La Ragioneria ha dato dei numeri che non tengono conto dell’epoca di pensionamento e delle ricostruzioni di carriera degli interessati. Abbiamo interrogato il ministero del Lavoro, ci hanno detto che si tratta di calcoli complessi e che si riservano di darci dei numeri quando li avranno”.
Colucci sta studiando una soluzione “che però non potrà non essere costosa – aggiunge il deputato Cinquestelle –. I pensionati devono avere ciò che è loro, tuttavia possiamo provare a mitigare l’impatto, contemperando l’articolo 81 sul pareggio di bilancio con l’articolo 36 richiamato dalla sentenza della Consulta. Per farlo, però, ripeto: governo e Inps devono darci i dati esatti”.
Entrando nel dettaglio, l’ipotesi di intervento parte dalla norma del 2019, scritta dal governo Conte 1, che già prevede l’anticipazione del Tfs a favore del pensionato. “Solo che dobbiamo porre il relativo onere a carico dello Stato e non del lavoratore”, spiega Colucci. Qui tornano in campo le banche che già in questi anni hanno spesso erogato anticipi delle liquidazioni a tassi anche molto onerosi per i cittadini. “Gli istituti di credito possono anticipare allo Stato le somme dovute, in modo che il pubblico paghi solo gli interessi passivi. Poi, la copertura dovrebbe arrivare a valere su un prelievo che riguarda gli extraprofitti bancari”, aggiunge il deputato stellato.
“La finanziarizzazione consentirebbe di ridurre in modo importante il costo per l’erario, perché lo Stato dovrebbe coprire solo gli interessi passivi dell’anticipazione”, chiosa Colucci, mentre il ‘capitale’ sarebbe poi coperto da una nuova tassa sui larghi utili accumulati delle banche. “Mi sembra naturale chiedere loro uno sforzo per il riconoscimento di un diritto costituzionale dei lavoratori. A me interessa rendere la nostra proposta di legge inattaccabile sul fronte dei numeri e delle coperture. Non voglio che sia bocciata per violazione dell’articolo 81, come accaduto alla legge Schlein sulla sanità. Per questo – conclude il parlamentare foggiano – ci servono numeri precisi”.
A quel punto lo scontro si sposterebbe tutto sul merito politico e sarebbe molto acceso, anche alla luce degli esiti della tassa sugli extraprofitti bancari lanciata l’anno scorso, in piena estate, dal governo Meloni. L’esecutivo fece poi marcia indietro e si ritirò in buon ordine, trasformando la misura in uno strumento di rafforzamento patrimoniale a beneficio degli istituti. Della serie: scusateci, abbiamo scherzato. I lavoratori pubblici, però, non ne possono più e non sono certo in vena di scherzi.
La pagina web della petizione
La Pdl Colucci (M5s)
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