08 Ottobre 2024

Ssn in profondo rosso. E il Gimbe accende un faro sul nodo infermieri

Il settimo Rapporto della Fondazione mette in fila i numeri dello sfascio della sanità pubblica. Il presidente Cartabellotta a Nursind Sanità: "Il personale infermieristico oggi rappresenta una grandissima criticità per l'erogazione delle cure"

Di NS

È come una matrioska che nasconde via via al suo interno ansie e preoccupazioni sempre più nere. Dentro la crisi del sistema sanitario c’è la gravissima carenza di personale e dentro la carenza di personale ci sono i buchi enormi della professione infermieristica. Il settimo Rapporto Gimbe sullo stato di salute del Ssn non può non dedicare un focus al nodo infermieri. E fa notare innanzitutto che con 6,5 operatori ogni mille abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8), collocandosi tra i Paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4).

Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100mila abitanti, rispetto ad una media Ocse di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica, prima solo del Lussemburgo e della Colombia. Per l’Anno accademico 2024-2025, come Nursind Sanità ha ampiamente riportato, sono state presentate 21.250 domande per il corso di laurea in Scienze infermieristiche a fronte di 20.435 posti, un dato che dimostra la mancata attrattività della professione.

Lo stesso Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, spiega a Nursind Sanità (vedi video in calce): “Il personale infermieristico oggi di fatto rappresenta una grandissima criticità per l’erogazione delle cure”. Cartabellotta ribadisce i numeri del report rispetto alla carenza di professionisti ed evidenzia pure la “crisi vocazionale” che affligge la categoria: “Il numero di iscritti alla facoltà di Scienze infermieristiche è in continua riduzione e il numero di laureati ci vede terzultimi nei Paesi Ocse”.

Per il resto la crisi del nostro Ssn sta corrodendo ormai il diritto fondamentale alla salute dei cittadini. E i numeri del rapporto lo testimoniano in modo chiaro. Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite di 889 euro rispetto alla media dei Paesi Ocse membri dell’Unione europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi di euro. E che dire dei quasi 4,5 milioni di persone che nel 2023 hanno rinunciato alle cure, di cui 2,5 milioni per motivi economici (in altri casi per tempi di attesa troppo lunghi o per difficoltà di accesso ai servizi sanitari)? Il Gimbe parla di “definanziamento cronico, attuato negli ultimi 15 anni da tutti i governi, che hanno sempre visto nella spesa sanitaria un costo da tagliare”.

Il Fabbisogno sanitario nazionale (Fsn) dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi, in media 2 miliardi per anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi tra ‘tagli’ per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il Fsn è aumentato di ben 11,6 miliardi, “una cifra tuttavia interamente assorbita dai costi della pandemia, che non ha permesso un rafforzamento strutturale del Ssn né consentito alle Regioni di mantenere in ordine i bilanci”, spiega ancora il rapporto.

Per gli anni 2023-2024 il Fsn è aumentato di 8.6 miliardi: tuttavia, nel 2023 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati “ai doverosi rinnovi contrattuali del personale”. E il Gimbe rincara: “Le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità: infatti, secondo il Piano strutturale di bilancio il rapporto spesa sanitaria/Pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027”. A fronte di una crescita media annua del Pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027, il Psb stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo. “Questi dati – chiosa Cartabellotta – confermano il continuo e progressivo definanziamento del Ssn che non tiene conto dell’emergenza sanità e prosegue ostinatamente nella stessa direzione dei governi precedenti”.

Naturalmente questa dinamica accentua il peso dei costi a carico delle famiglie per via diretta. Rispetto al 2022, nel 2023 i dati Istat documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+4.286 milioni) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-73 milioni). “Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del Ssn solo sulla carta”, commenta il presidente Gimbe. La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+5.326 in 10 anni), nel 2023 si è impennata addirittura del 10,3% (+3.806 milioni) in un solo anno. Stiamo parlando di una cifra che, secondo varie stime, avrebbe ormai superato abbondantemente i 40 miliardi di euro annui.

Uno scenario desolante che porta con sé ripercussioni pure su fronte della profilassi. Rispetto al 2022, dice il rapporto, nel 2023 la spesa per i “servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%). In questo caso il cane si morde la coda, perché un buon livello di prevenzione farebbe naturalmente risparmiare risorse al Ssn. E poi ci sono i divari regionali che aumentano, a partire dalla grande dicotomia Nord-Sud rispetto ai Lea (Livelli essenziali di assistenza). Nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, il gap tra Settentrione e Meridione cresce e al Sud solo Puglia e Basilicata vengono promosse. Il Gimbe poi affonda il colpo: “A questo quadro si aggiunge la legge sull’autonomia differenziata, che affonderà definitivamente la sanità del Mezzogiorno, assestando il colpo di grazia al Ssn e innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone”.

Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle aree del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a 10,96 miliardi di euro. E infine c’è il capitolo Pnrr, con le sue promesse tutte ancora da mettere a terra, soprattutto sul fronte dell’assistenza territoriale e della digitalizzazione della sanità. I risultati preliminari del quarto monitoraggio Agenas sul Dm 77/2022 documentano che, al 30 giugno 2024, sono stati dichiarati attivi dalle Regioni il 19% delle Case di comunità (268 su 1.421), il 59% delle Centrali operative territoriali (362 su 611) e il 13% degli Ospedali di comunità (56 su 429), ma il Gimbe rileva immancabilmente “ritardi particolarmente marcati nel Mezzogiorno”. Il target intermedio sulla percentuale di over 65 in assistenza domiciliare è stato raggiunto a livello nazionale e in tutte le Regioni tranne che in tre Regioni del Sud. Al 31 luglio 2024 sono stati realizzati il 52% dei posti letto di terapia intensiva e il 50% di quelli di terapia sub-intensiva, con nette differenze regionali.

«Perdere il Ssn – conclude Cartabellotta – non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi”. Di conseguenza, la Fondazione Gimbe ha aggiornato il Piano di rilancio del Ssn: un programma chiaro in 13 punti che mette nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con “risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione”. Per attuare questo piano, la Fondazione invoca “un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni ideologiche e avvicendamenti dei governi, riconoscendo nel Ssn un pilastro della nostra democrazia”.

Parole che riecheggiano quelle del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel suo saluto alla presentazione del rapporto ha evidenziato: “Il Servizio sanitario nazionale costituisce una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. I leader dell’opposizione, presenti al lancio del rapporto, hanno colto la palla al balzo per attaccare la maggioranza di governo. La segretaria del Pd, Elly Schlein, non l’ha mandata a dire, parlando di “fotografia drammatica” e chiarendo come emerga “negli ultimi due anni” una distanza aumentata tra l’Italia e gli altri Paesi Ue. “Noi chiediamo maggiori risorse per la sanità pubblica per evitarne lo smantellamento, per assumere il personale che manca nei reparti e che sta allungando le liste d'attesa”. Schlein ha aggiunto: “Voglio segnalare due dati: il rapporto Gimbe dice che è da un parte aumentata del 10% la spesa sanitaria privata delle famiglie, e dall’altra che ci sono 4,5 milioni di italiani che hanno rinunciato a curarsi. Siamo a un livello drammatico che non possiamo accettare. La spesa delle famiglie è aumentata di 4,3 miliardi che è la stessa cifra che il governo, non ascoltandoci, ha messo sulla riforma dell’Irpef. Noi chiederemo di mettere quei 4,3 miliardi sulla sanità pubblica”.

Il leader M5s Giuseppe Conte ha rincarato: “Il rapporto Gimbe ci parla di una sanità in sofferenza. Quattro milioni e mezzo di persone che hanno rinunciato alle cure, 2,5 milioni lo fanno per motivi economici". "E poi sprechi, inefficienze: dobbiamo investire, aumentare il finanziamento pubblico ma dobbiamo riformare la sanità – ha aggiunto –. Come M5s siamo concentrati su questo perché in questo momento anche versare nuovi miliardi significherebbe ovviamente aumentare sprechi e inefficienze. E poi il divario, le disuguaglianze territoriali. Soprattutto fra Nord e Sud, c'è una mobilità sanitaria, un flusso consistente di cittadini costretti ad attraversare tutta la Penisola per andare al Nord per curarsi”. "Questi sono i problemi che il governo dovrebbe attenzionare”.


Le tabelle del settimo Rapporto Gimbe

 

 

 

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