Ssn in crisi, ma le assicurazioni private valgono 4,2 miliardi
La spesa pubblica per la salute langue, mentre quella diretta degli italiani ha sfondato i 40 miliardi di euro. E le polizze rappresentano il 10% di questa torta. L'economista Longo (Bocconi) a Nursind Sanità: "Il vero dilemma è tra i fondi collettivi mutualistici e le coperture individuali"
Di Ulisse Spinnato Vega
Il Servizio sanitario nazionale non ce la fa e inevitabilmente arretra, con una spesa rispetto al Pil che galleggia appena sopra il 6%. Intanto i cittadini, quando non rinunciano del tutto a curarsi, sempre più spesso pagano di tasca propria. Gli esborsi cosiddetti ‘out of pocket’ superano ormai i 40 miliardi di euro annui (40,6 miliardi per Istat nell’ultima audizione sulla legge di Bilancio). Più che i costi per farmaci o per l’assistenza ospedaliera, abbastanza stabili nell’ultimo decennio, a esplodere è stata la spesa ambulatoriale per visite ed esami specialistici, cresciuta a 18 miliardi nel 2023, in pratica il 57% in più in 12 anni secondo l’Osservatorio consumi privati in sanità della Sda Bocconi, che ha fatto i conti elaborando dati Istat.
In questo scenario, inevitabilmente, si allargano a macchia d’olio gli spazi per le assicurazioni sanitarie, che pure ancora rappresentano una piccola fetta della voce salute nel bilancio degli italiani. Secondo gli ultimi dati Ania, l’Associazione nazionale delle imprese assicurative, le polizze del ramo malattia stanno facendo incetta di premi. La raccolta complessiva 2023 è arrivata a 4,2 miliardi di euro, con una impennata del 12,9% rispetto all’anno prima. Di questa somma, ben 3,3 miliardi, il 78%, vanno alla garanzia di rimborso spese mediche. Invece 318 milioni finiscono nella garanzia diaria, mentre il volume premi relativo alla garanzia invalidità permanente tocca i 265 milioni. Vale ancora soltanto lo 0,7% del totale la raccolta sul long term care, che cubava 29 milioni l’anno scorso, in aumento comunque del 9,5% rispetto al 2022.
Ovviamente, in questo contesto crescono sia le polizze collettive, che rientrano nelle policy di determinate categorie e associazioni professionali o nella sfera (in espansione) del welfare aziendale, sia le polizze individuali. Il totale è di 3,5 milioni di contratti attivi (+33,1% rispetto al 2022). Le prime raccolgono 2,8 miliardi di euro e rappresentano due terzi del volume totale di premi contabilizzati. Mentre le seconde, circa 1,4 milioni (+16% sull’anno prima), coprono il restante terzo. Peraltro, rispetto alla macro area del rimborso spese mediche, le polizze collettive valgono oltre l’80% del totale. Generalmente i premi per questi contratti sono contenuti, circa 150 euro l’anno. Ma spesso le compagnie private, che operano secondo una scontata logica di profitto, non assicurano tutti: per esempio sono frequenti i tetti anagrafici, di norma i 70 anni, oltre i quali non è disponibile alcuna copertura.
La tecnologia, poi, sta cambiando gli scenari anche in questo comparto: l’intelligenza artificiale aiuta a calcolare prospettive, rischi e aspettative di salute dei clienti. Ma gli algoritmi hanno bisogno di dati e così pure in Italia si stanno diffondendo polizze individuali che prevedono l’utilizzo di device digitali, come i braccialetti elettronici, in grado di estrarre informazioni precise sullo stato di salute dei contraenti. Si tratta dei cosiddetti ‘activity tracker’ che monitorano la dieta, il sonno, l’attività fisica e profilano gli stili di vita delle persone. La motivazione nobile per questo genere di ‘sorveglianza’ è connessa alla promozione della prevenzione e dei comportamenti sani, ma è chiaro che i dati ricavati sono cruciali nella calibratura del prodotto assicurativo offerto e soprattutto del costo dei premi. Mentre, dall’altra parte, il nostro Ssn continua doverosamente a curare tutti allo stesso modo, a prescindere dalle condizioni personali, dai meriti o dalle colpe legati alle condotte di vita individuali.
“A fianco dell’arretramento della spesa pubblica, quella privata non cresce se non in termini nominali. E l’intermediazione assicurativa rimane intorno al 10%, ossia una quota residuale”, dice a Nursind Sanità Francesco Longo, docente all’Università Bocconi, ricercatore del Cergas Bocconi (Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) ed economista sanitario. “E questa è una brutta notizia, perché visto il grande volume di spesa privata, è meglio che essa sia intermediata. Ma al momento gli italiani sono restii ad assicurarsi”. Secondo l’esperto la scelta decisiva è però tra i fondi collettivi solidaristici e le mutue private basate sul rischio individuale. “Nel primo caso – spiega – esiste un meccanismo redistributivo, perché io pago in base al reddito, ma la copertura è uguale a quella dell’aderente più ricco, a prescindere dai rischi sanitari. Mentre nel secondo caso la polizza ti presenta il conto in ragione della tua rischiosità e dei tuoi malanni. Dovremmo privilegiare le forme collettive mutualistiche”. Per Longo comunque “è una presa in giro pensare di assicurare dignitosamente 15 milioni di italiani con appena il 10% della spesa sanitaria privata”. Secondo l’economista di Bocconi sarebbe invece “ragionevole che le polizze si concentrassero sul long term care: si tratta di quattro milioni di non autosufficienti in Italia che costano alle famiglie 25 miliardi di euro. Poi andrebbero coperte l’odontoiatria e le componenti accessorie, lasciando perdere le prestazioni del Ssn”.
Nel frattempo, anche la politica si muove su assicurazioni, fondi e mutue cui gli italiani fanno sempre più spesso ricorso. La commissione Sanità del Senato ha condotto l’anno scorso una corposa indagine conoscitiva e ora si sta lavorando a una legge delega, su impulso del presidente dell’organismo, Francesco Zaffini, secondo cui bisogna perseguire la logica dell’integrazione e della sussidiarietà tra il pubblico e il privato con “un servizio sanitario nazionale che garantisca i Livelli essenziali di assistenza – ha spiegato il senatore di Fdi – e un secondo pilastro che assicuri i livelli essenziali integrativi, definendo bene i confini di queste due categorie”. L’obiettivo è quindi normare meglio la sanità integrativa come secondo pilatro del sistema salute, cercando pure, ha chiarito Zaffini, di “sbrogliare il groviglio di operatori, troppi, presenti nel settore”. In sostanza, si punta a un raddoppio dei cittadini coperti da fondi complementari, da 15 a 30 milioni circa, contrastando l'elusione contributiva e introducendo la contitolarità dei fondi stessi sulle azioni di recupero dei contributi omessi, con il supporto degli Ispettorati del lavoro. Oltre alla possibilità di accesso, infine, da allargare ai lavoratori autonomi, alle partite Iva e ai disoccupati.
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