Crisi dei pronto soccorso, "Un migliore filtro con più strumenti di diagnostica"
Bartoletti (Fimmg) a Nursind Sanità: "Tutti gli anni ci ricordiamo della medicina generale solo nei momenti di emergenza, senza ragionare in maniera strategica". E sulle ore di lavoro: "Falsa l'accusa che lavoriamo poco, i nostri studi aperti finché non va via l'ultimo paziente"
Di Elisabetta Gramolini
Attaccati da più parti e spesso tirati in ballo nei processi alla sanità pubblica, i medici di medicina generale sono stati invitati recentemente dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, a fare la loro parte per razionalizzare gli accessi ai pronto soccorso ed evitare il sovraffollamento che ricorre immancabile in questo periodo dell’anno. A Nursind Sanità, Pierluigi Bartoletti, vicesegretario nazionale vicario della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg), spiega che manca una riorganizzazione strategia del Servizio sanitario nazionale e soprattutto una dotazione di strumenti di diagnostica di primo livello negli studi. "Con strumenti più adeguati potremmo avere la capacità di indirizzare al pronto soccorso solo patologie che nello studio non è possibile risolvere". E poi sottolinea come non sia del tutto vero che la professione sia poco attrattiva per i giovani laureati: "Nel Lazio – afferma – abbiamo avuto più domande che borse. Il problema è che appena si esce dalla comfort zone del tirocinio, si capisce che è difficile lavorare senza gli strumenti di gestione, come i protocolli di collaborazione fra il territorio e gli ospedali e la diagnostica rapida che è stata sempre annunciata ma mai realizzata". Per il vicesegretario, inoltre, è una accusa senza fondamento quella che vuole i medici di medicina generale disponibili in fasce orarie ristrette.
Che cosa risponde all’invito da parte del ministro diretto a voi, medici di medicina generale, a fare di più?
Che per evitare il problema annuale del sovraffollamento dei pronto soccorso nel periodo invernale dovremmo avere più strumenti a disposizione. La diagnostica rapida è rimasta nei cassetti e quello che facciamo è per responsabilità verso i pazienti. È chiaro che nessuno di noi è contento che il paziente si rivolga al pronto soccorso, ma dico che alcune problematiche sanitarie potrebbero essere attenuate con strumenti di diagnostica rapida da parte del medico di medicina generale, mentre altre sappiamo che sono indipendenti dal medico perché legate a questioni sociali. Quello che possiamo fare di più? Disporre di strumenti più adeguati ci consentirebbe di indirizzare al pronto soccorso quelle patologie che nello studio non è possibile risolvere. Nel Lazio, nel 2007 è stato sperimentato e poi abbandonato un progetto del genere di “fast track” che ebbe ottimi risultati con l’obiettivo di fare esami ad esempio per sospetta polmonite virale in pronto soccorso. Per risolvere il problema del sovraffollamento insisto dunque sul fast track, ovvero su un invio selezionato, unito alla riorganizzazione e al pagamento del ticket dei codici bianchi e verdi, non indirizzati dal medico di medicina generale, cosa che accade già in tutta Europa.
La carriera in medicina generale è poco attrattiva?
Non credo, nel Lazio, ad esempio, abbiamo avuto più domande che borse. Il problema è che appena si esce dalla comfort zone del tirocinio, si capisce che è difficile lavorare senza gli strumenti di gestione, come i protocolli di collaborazione fra il territorio e gli ospedali e la diagnostica rapida che è stata sempre annunciata ma mai realizzata. Non c’è nulla, inoltre, che vada a differenziare strutture della medicina generale ben organizzate rispetto a quelle che lo sono meno. Con le case di comunità si replicheranno gli stessi problemi se non si adotteranno soluzioni diverse.
Le case di comunità saranno una soluzione?
Le strutture ci sono, ma mancano i sanitari. Spesso ai medici di medicina generale viene ricordato che devono lavorare in team e additato il fatto di non saper fare da filtro ai pronto soccorso. In verità, i medici sono abituati a lavorare in team e tutti gli anni ci ricordiamo della medicina generale solo nei momenti di emergenza, senza ragionare in maniera seria e strategica. Gli strumenti di diagnostica di primo livello, ripeto, ci sono ma spesso non sono operativi o non vengono valorizzati.
Viene detto anche che lavorate poche ore perché siete dei "liberi professionisti".
Quella sugli orari è una accusa falsa che sentiamo da tempo nonostante i nostri studi siano aperti finché l’ultimo paziente non è uscito anche oltre l’orario. Se fossimo dipendenti non avremmo più orari flessibili che consentono di fare consulti e ricette anche da casa. Il nostro tipo di lavoro ha dei risultati sulla base di come viene interpretato da privato accreditato o da dipendente.
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