07 Gennaio 2025

Pnrr e sanità: il tempo stringe e la spesa effettiva arranca

Il punto sulla Missione 6 del Recovery a meno di un anno e mezzo dalla chiusura del Piano. L'Italia ha chiesto i soldi per l'attivazione delle Cot, ma gli investimenti reali tardano a decollare. E resta l'incognita personale, a partire dagli infermieri di famiglia

Di Ulisse Spinnato Vega

Il Pnrr sanitario arranca, ma prova comunque ad avanzare. Le difficoltà non mancano, tuttavia un po’ di respiro arriva dalla riprogrammazione degli obiettivi, con scadenze più lunghe o numeri ridimensionati. La revisione del Piano voluta dall’allora ministro Raffaele Fitto e perfezionata a dicembre 2023 ha regalato qualche margine alla Missione 6 che mette in gioco 15,63 miliardi di euro, pari all’8,16% del Recovery plan italiano. Sul sito del ministero della Salute appare in bella mostra un conteggio tutto sommato rassicurante che riporta, a dicembre 2024, 34 milestone raggiunte sul totale di 44 e 31 target conseguiti su 58 complessivi. Il problema è capire la sostanza delle misure dietro ai numeri. Per esempio, secondo la fondazione OpenPolis, che monitora con attenzione l’andamento del Piano, la spesa effettiva per gli investimenti in salute non raggiunge ad oggi il 10% (9,45%, ossia 732 milioni su 7,8 miliardi).

Restando all’attualità più stretta, il 30 dicembre scorso il governo italiano ha inviato alla Commissione Ue la richiesta di pagamento della settima rata da 18,3 miliardi di euro. Tra gli obiettivi che l’Italia dice di aver centrato c’è l’attivazione delle almeno 480 Centrali operative territoriali (Cot) per rafforzare l’assistenza di prossimità, una misura che vale complessivamente 280 milioni. Va detto però che prima della revisione l’asticella era a 600 strutture e il traguardo era fissato a metà, non alla fine del 2024. Entro qualche mese, comunque, vedremo se la Ue sarà d’accordo con Roma ed erogherà la tranche. Il ripensamento degli obiettivi del Piano di ripresa e resilienza ha toccato in ogni caso tutti i capitoli chiave del riassetto dell’assistenza territoriale, vero banco di prova del rilancio del Ssn in ottica Pnrr. Gli Ospedali di comunità da creare sono scesi da 400 ad almeno 307 con il costo di un miliardo e soprattutto la più ardua delle sfide, ossia la costruzione delle Case di comunità, ha visto l’asticella calare da 1350 ad almeno 1038: un’azione quest’ultima che da sola assorbe 2 miliardi. Ospedali e Case di comunità, non a caso, sono ancorati a tempi di realizzazione allungati al massimo, coincidenti con la chiusura complessiva del Pnrr (giugno 2026).

Anche gli interventi di antisismica sanitaria, per dire, sono scesi da 109 ad almeno 84. Ora vedremo se tutti i target e le milestone verranno conseguiti nei tempi previsti. Peraltro, un conto è mettere in piedi le strutture e un altro è riempirle del personale necessario a farle funzionare. È questo il vero nodo, anche perché, come si sa, il Piano di ripresa e resilienza non può finanziare nuova spesa corrente. Il caso degli infermieri di famiglia e comunità, in tal senso, si profila forse come il più clamoroso e paradigmatico dell’incapacità strutturale della Pubblica amministrazione italiana di far fronte alle sfide del Recovery. Il decreto ministeriale 77 del 2022, che riordina l’assistenza territoriale in ottica Pnrr, ha fissato l’obiettivo poco sotto l’asticella dei 20mila professionisti attivi. Ma secondo l’ultimo monitoraggio del ministero della Salute sul personale sanitario, aggiornato a fine 2022, non siamo nemmeno a 1500 unità assunte in 11 Regioni. Una debacle. Basti considerare che secondo un recente report del sindacato Uil, il personale infermieristico per le sole Case di comunità dovrebbe costare oltre 610 milioni di euro l’anno.

Riguardo alla sesta tranche di finanziamenti, l’ultima incassata dall’Italia, relativa a metà 2024, il ministero della Salute ha sbandierato di aver raggiunto il target dell’assegnazione di ulteriori 900 borse di studio in medicina generale, riferite al terzo ciclo formativo triennale 2023-2026, per un totale di 2.700 assegnazioni aggiuntive. E il dicastero ci tiene a precisare che “l'investimento concorre a garantire l’operatività dei setting assistenziali previsti dal Dm 77/2022, con particolare riferimento alle Case della Comunità”. Bene, se parliamo di formazione, una milestone che manca all’appello rispetto alle scadenze riguarda invece la procedura di registrazione per i corsi sulle infezioni ospedaliere. Pure questo tema rientra nello sviluppo delle competenze tecniche, digitali e manageriali del personale sanitario. L’obiettivo intermedio andava centrato entro settembre scorso, ma ancora nulla. L’ultima scadenza è marzo 2025 per formare almeno 150mila unità di personale.

Poi c’è il grande nodo della digitalizzazione, delle nuove tecnologie per la sanità e della telemedicina che, va ricordato, prevede risorse Pnrr per 4,75 miliardi, quasi un terzo della Missione 6. Restando alle ultime scadenze, a dicembre scorso non è stato raggiunto, tra i target, il completamento degli interventi di interconnessione aziendale che riguarda la casa come primo luogo di cura e le Centrali operative territoriali. Una misura che vale oltre 42 milioni. Risulta mancante pure la realizzazione e l’entrata in funzione dell’interoperabilità nazionale di dati e documenti in seno al Fascicolo sanitario elettronico. Invece, il target che riguarda la stipula di un contratto per gli strumenti di intelligenza artificiale a supporto dell'assistenza primaria era stato provvidenzialmente spostato in sede di revisione del Pnrr da giugno 2023 a marzo 2025: siamo vicini alla scadenza, ma ancora il traguardo non è stato raggiunto. In ballo ci sono 50 milioni.

Al di là delle riforme e delle innovazioni amministrative, il vero problema di tutto il Recovery italiano è mettere effettivamente le risorse a terra. Ancora secondo Openpolis, sugli ospedali il livello di spesa reale per investimenti è al 21,59% (192 su 889 milioni). Sull’ammodernamento tecnologico siamo poco sopra il 15% (872 milioni su 5,7 miliardi). Ma su ricerca e formazione in ambito medico arriva il dato di stima più desolante: utilizzati meno di 20 milioni su 1,3 miliardi disponibili, in pratica l’1,54%. Una miseria. La parola d’ordine è dunque accelerare, ma evitando il pericolo di usare male i fondi. Salvo proroghe, manca infatti meno di un anno e mezzo alla chiusura. Il tempo vola e il sistema sanitario italiano rischia di perdere il treno più importante.   

 

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