Meno nicotina nelle sigarette? Sirchia: "In Italia ruolo chiave per l'Iss"
L'ex ministro della Salute che bandì il fumo nei luoghi pubblici commenta a Nursind Sanità la proposta lanciata negli States: "All'Istituto andrebbe il controllo della quantità di sostanze nei prodotti a base di tabacco. Ma servirebbero piani precisi e non norme estemporanee"

Rendere le sigarette meno dannose per la salute, limitando il quantitativo di nicotina, non è impossibile. Basta dotarsi di un piano adeguato, corroborato da dati ed evidenze scientifiche. A suggerire la strada da percorrere pure in Italia, per affrontare il tema della dipendenza da fumo, è Girolamo Sirchia, già ministro della Salute dal 2001 al 2005. Raggiunto da Nursind Sanità, Sirchia commenta la recente proposta fatta dalla Food and drug administration (Fda) negli Stati Uniti di ridurre il quantitativo di nicotina a 0,7 milligrammi per grammo di tabacco nelle sigarette e in alcuni altri prodotti. L’ex ministro, al quale si deve la legge che oltre venti anni fa vietò il fumo nei luoghi aperti al pubblico, spiega come nel nostro Paese basterebbe affidare all’Istituto superiore di sanità la funzione di controllare la quantità di nicotina nei prodotti e definire gli standard dei liquidi contenuti nelle sigarette elettroniche. Anche se comprende come "non sono i provvedimenti estemporanei che risolvono i problemi, ma i piani precisi e dettagliati".
Professore, se fosse approvata la proposta di legge della Fda per ridurre la nicotina sarebbe la prima del suo genere. Crede sia un obiettivo perseguibile?
È un problema dibattuto da anni. L’idea non è nuova, ma è nuova l’applicazione che appare come molto vantaggiosa perché sappiamo come il tasso di nicotina sia modificabile. In genere, il tasso viene aumentato e non ridotto perché più sale e più fa crescere l’assuefazione e quindi il mercato. La proposta va a colpire infatti un settore delicato. Ma hanno la possibilità di controllare il tabacco, ancorché con mille difficoltà, e se riescono a farlo sarebbe una buona iniziativa.
Una proposta del genere sarebbe possibile in Italia?
L’idea di affidare all’Istituto superiore di sanità il controllo del tabacco sarebbe un passo avanti, lo propongo da anni, ma non se ne parla. Non c’è bisogno di fare delle leggi. Se l’Istituto avesse una delega, per esempio, potrebbe controllare i livelli di nicotina nel tabacco o dei liquidi nelle Cig, quali sono gli additivi dei liquidi e qual è la composizione che sappiamo sia tossica. Servirebbe dare all’Istituto un delega ad operare, sotto la vigilanza del Parlamento, per dare degli standard. Dubito però che si riescano a fare in Italia questi provvedimenti. Vediamo se gli americani riescono, in tal caso sarebbe un bel precedente.
Anche lei quando propose la legge che porta il suo nome si poneva contro interessi molto forti. Eppure oggi, a distanza di più di venti anni, sarebbe impensabile tornare indietro.
Non è impossibile cambiare, ma è difficile. Allora ci fu un piano strategico, organizzato, sostenuto e non semplice da realizzare. Non sono i provvedimenti estemporanei che risolvono i problemi, ma i piani precisi e dettagliati. Insomma, non è una cosa che si fa dalla sera alla mattina senza una azione di lobbying che convinca il Parlamento o il governo. Gli interessi, infatti, sono forti e molteplici, fra cui quello falso della perdita di posti di lavoro per cui la politica a volte si spaventa. Ecco perché bisognerebbe avere i dati per confutare determinate tesi, insistere sui benefici per la salute, a cominciare dalla riduzione delle patologie e da dalori e malesseri che verrebbero risparmiati.
In Italia è stata avanzata la proposta di una tassa di scopo per sostenere il Servizio sanitario nazionale. Sarebbe utile?
L’evidenza è che queste tasse sono utili e servono a ridurre il fumo. La proposta dovrebbe essere intesa quale un risarcimento per il danno che il fumo provoca alla collettività in termini sia di salute sia economici. Sappiamo che i costi per la società ammontano in Italia a 26 miliardi di euro l’anno, circa la metà sono per la spesa sanitaria corrente e l’altra a carico delle imprese per le giornate di lavoro perse.
Quindi, è d'accordo?
Sì. La stessa cosa dovrebbe poi valere anche per l’alcol cioè per le aziende che vendono prodotti contro la salute pubblica.
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