Dazi Usa, "un assalto alla salute pubblica"
La Società italiana di farmacologia: "Significherebbe fare un salto indietro di oltre 70 anni". Associazione Egualia: "Sarebbe sconfessato un accordo sulle esenzioni stretto da tutte le economie avanzate aderenti al Wto"

L’effetto che potranno innescare i dazi sul settore sanitario e, in particolare, su quello farmaceutico, è ancora difficile da valutare numericamente. A pochi giorni dall’annuncio della nuova politica commerciale di Donald Trump, infatti, è prematuro fare previsioni. Eccetto dire, come ha affermato oggi Armando Genazzani, presidente della Società italiana di farmacologia (SIF) che, ovviamente, "la presenza di dazi reciproci tra gli Stati Uniti e l’Europa potrebbe compromettere il progresso scientifico, la collaborazione internazionale e la sostenibilità dei farmaci, con un impatto diretto su progresso scientifico e salute pubblica". Ecco perché, ha insistito Gennazzani, "bisogna assolutamente continuare a negoziare per scongiurare effetti negativi sui settori strategici, e la ricerca farmacologica non fa eccezione".
ACCORDI INTERNAZIONALI E SALUTE GLOBALE A RISCHIO
“Se i dazi colpissero il nostro settore, si creerebbero barriere che potrebbero rallentare l’innovazione, aumentare i costi e ridurre l’accesso ai trattamenti per i pazienti, inclusi quelli americani. Questo scenario non gioverebbe a nessuno, né alle imprese né ai sistemi sanitari", ha proseguito.
Un alert che invece ieri è arrivato da Stefano Collatina, presidente di Egualia (associazione italiana delle aziende produttrici di farmaci equivalenti, biosimilari e Value Added Medicines): "I dazi sui prodotti farmaceutici danneggerebbero sia l’industria statunitense che quella europea ma soprattutto danneggerebbero i pazienti: l’esenzione per questi prodotti era stata concordata dalle economie avanzate aderenti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) proprio per garantire il massimo accesso alle cure essenziali a livello planetario. Se l’esenzione fosse confermata sarebbe una bella notizia perché confermerebbe un principio e un valore etico condiviso da decenni dai Paesi del mondo avanzato".
Non a caso, come ha spiegato Genazzani, "il motivo per il quale fu deciso, oltre 70 anni fa, di dare un nome di denominazione comune ai farmaci (il famoso INN o nome generico) era per un accordo tra nazioni di non mettere dazi reciproci su questi prodotti. Tornare indietro è, indipendentemente dall’impatto economico, un assalto alla salute globale".
IL RUOLO DEEL’ITALIA
L’Italia è un importante esportatore di prodotti farmaceutici verso gli Stati Uniti. Secondo l’International trade centre, nel 2024 l'Italia ha esportato beni per un valore di 382 miliardi di euro negli Stati Uniti, con una quota significativa rappresentata dai prodotti farmaceutici. "In ogni caso il rischio che adesso o in futuro vi possano essere dazi reciproci e controllo dell’export di farmaci, dovrebbero esortarci ad investire ulteriormente, come Paese - ha esortato il presidente Sif - in questo comparto manufatturiero. E’ strategico consolidare la nostra posizione di produttore, per ridurre il rischio che decisioni come queste o situazioni come le pandemie, possano avere ripercussioni negative di salute". La ricerca farmaceutica si basa su un flusso continuo di competenze, capitali e materie prime. "Interrompere questo equilibrio con misure protezionistiche vuol dire, oltretutto, rallentare l’innovazione".
L’INVITO DELLA SIF
La Società italiana di farmacologia ha invitato quindi le istituzioni europee a lavorare per una mediazione efficace con gli Stati Uniti. "La salute è un bene globale e non può essere ostaggio di dispute commerciali. L’Europa, con il supporto del governo italiano, deve difendere la capacità manifatturiera e la competitività del settore farmaceutico, mantenendo al contempo un forte impegno per la cooperazione internazionale e la tutela del diritto dei pazienti all’accesso ai medicinali".
Sempre più vicini ai nostri lettori.
Segui Nursind Sanità anche su Telegram