17 Aprile 2025

Liste d'attesa, ancora muro dalle Regioni. Un mese per trattare

Non hanno sciolto la riserva sul Dpcm voluto dal ministro Schillaci che prevede poteri sostitutivi in capo al ministero in caso di inadempienze delle autonomie sui tempi delle visite. Ecco i prossimi passaggi

Di Pa.Al.
Foto di Parentingupstream
Foto di Parentingupstream

Nulla di fatto. Che sia tregua preparatoria della pace o un nuovo round dello scontro lo capiremo più avanti. Dalle Regioni, infatti, è arrivato ancora un niet sul Dpcm della discordia, il decreto del presidente del Consiglio voluto dal ministro Schillaci che prevede l’esercizio di poteri sostitutivi in capo al Ministero (attraverso l’"Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria") in caso di ritardi e inadempienze sulle liste d’attesa.

Dalla Conferenza Stato-Regioni, infatti, è partita una richiesta di rinvio della discussione alla prossima riunione. Un supplemento di riflessione, insomma, che però ha ricevuto in risposta il diniego da parte del governo. L'esecutivo ha preferito l’esito di mancata intesa. Che cosa accade a questo punto?
In realtà, c’è un mese di tempo (30 giorni) per tentare di raggiungere un accordo, la conciliazione. Senza intesa, però, il governo può andare avanti ugualmente portando il decreto in Cdm per l'approvazione. Ed eventualmente le autonomie possono ricorrere alla giustizia amministrativa.

Intanto, però, proprio lo stallo di 30 giorni fa infuriare il M5s che parla di liste d’attesa "messe di nuovo in attesa": "Siamo ormai arrivati al punto di non ritorno nell’inaccettabile balletto tra governo e Regioni - hanno evidenziato i parlamentari delle commissioni Affari socilai di Camera e Senato -. Tra un’accusa reciproca e uno scaricabarile dietro l’altro, il ministro Schillaci e i governatori regionali, peraltro a maggioranza di destra, stanno dando uno spettacolo poco dignitoso. E, cosa ancor più grave, perdono tempo prezioso per la soluzione dei problemi che da tempo attanagliano il nostro Servizio sanitario nazionale". Da priorità assoluta negli annunci, hanno poi proseguito, "si sono trasformate in mero terreno di scontro di potere. E a pagare, come sempre, saranno il personale sanitario, che continuerà a fare straordinari su straordinari per cercare di accorciare le attese dei pazienti, e gli stessi cittadini, costantemente dimenticati insieme al loro diritto alla salute".

Mentre per il Pd il copione era già scritto: "Come previsto, la proposta del governo sui poteri sostitutivi in materia di liste d'attesa è stata rigettata dalle Regioni e ora si cerca una mediazione", ha osservato Marina Sereni, responsabile Salute e Sanità nella segreteria nazionale dem. Per poi incalzare: "Smettano di fare polemiche, collaborino con le Regioni e trovino le risorse per rilanciare davvero la sanità pubblica e dare certezze ai cittadini".

Una cosa è certa: che sia colpa del governo centrale o delle autonomie, le norme dell'ultimo anno che dovrebbero tagliare le liste d'attesa faticano a raggiungere risultati concreti, se non a macchia di leopardo. E il problema inizia già dalla comunicazione, dalle interfacce telematiche di contatto con l’utenza. Il think tank indipendente Instant Analytics, che monitora servizi e fenomeni socioeconomici attraversi i dati digitali, ha di recente rilevato che, ancora oggi, solo 46 Asl su 111 pubblicano sul loro sito istituzionale i dati circa i tempi di attesa e soltanto 60 di esse consentono la prenotazione della prestazione via web. Il governo punta fortemente sulla nuova piattaforma nazionale di monitoraggio, ma, come si vede, c'è ancora tanta strada da fare.

 

Il Dpcm

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