18 Luglio 2024

Liste d'attesa: via libera del Senato al decreto. Ecco le modifiche

Il provvedimento passa con 87 voti favorevoli e 50 contrari. La Piattaforma Agenas perde la possibilità di verifica diretta del rispetto del divieto di sospensione o chiusura delle prenotazioni. Opposizioni all'attacco

Di Ulisse Spinnato Vega

Muro della maggioranza e del governo in Senato contro le modifiche chieste dalle opposizioni al decreto ‘Liste d’attesa’. Il testo alla fine viene licenziato con 87 voti favorevoli e 50 contrari, senza la presenza del ministro della Salute Orazio Schillaci nell’emiciclo. E con alcune modifiche sensibili, nel passaggio dalla commissione all’aula, in vista della navetta verso Montecitorio, dove il provvedimento è atteso in discussione generale per il 23 luglio.

Per giorni si è scritto dello scontro tra governo e Regioni e della mediazione trovata sulla vigilanza circa il rispetto dei tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie. Va detto che c’è un dialogo bidirezionale tra la nuova figura del Ruas (Responsabile unico regionale dell’assistenza sanitaria) e il neonato Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria, che prende in carico le funzioni già svolte dal Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SiVeAS). Il Ruas, infatti, invia un report di monitoraggio all’organismo con cadenza trimestrale, segnalando le eventuali criticità e indicando le azioni correttive. Ma anche le risultanze dei controlli dell’organismo vengono comunicate al Ruas e non più in prima battuta al ministero della Salute che disponeva premi e sanzioni nella versione iniziale del decreto. Comunque, in caso di mancata individuazione del Ruas da parte delle Regioni, l’organismo stesso può esercitare i poteri sostitutivi di controllo e valutazione delle prestazioni erogate da Asl e soggetti privati.

Venendo più in dettaglio alle modifiche al testo, una correzione importante riguarda le prerogative della Piattaforma nazionale Agenas delle liste d’attesa. La prima versione prevedeva che essa verificasse il rispetto del divieto di sospensione o di chiusura delle attività di prenotazione. Nella nuova stesura la legge adotta la più morbida formulazione per cui Agenas cura la “verifica dei percorsi di tutela previsti dal Piano nazionale di governo delle liste di attesa”. Inoltre viene soppressa la responsabilità circa il monitoraggio della “produttività con tasso di saturazione delle risorse umane e tecnologiche”. Va ricordato che la piattaforma nasce senza risorse aggiuntive, ma con fondi a valere sull’intervento Pnrr che riguarda le Centrali operative territoriali (Portale della trasparenza).

L’articolo 3 del decreto prevede che gli erogatori pubblici e privati afferiscano allo stesso Centro unico di prenotazione, ma la commissione Affari sociali e Sanità specifica che l’accesso alle prestazioni deve riguardare anche: la presa in carico della cronicità e della fragilità conseguenti a malattie croniche e degenerative e a malattie rare; le prestazioni necessitate da sintomi, segni ed eventi di tipo acuto; la malattia mentale; l’accesso a chiamata all’interno di progetti di screening su popolazione bersaglio per la diagnosi precoce di patologie oncologiche o comunque cronico-degenerative. In più, un nuovo comma specifica che gli erogatori devono garantire “la piena trasparenza delle agende” in relazione “alle prenotazioni effettuate e ai relativi posti a disposizione per le singole prestazioni”.

Il testo modificato rafforza poi le disposizioni relative al potere d’azione delle direzioni generali aziendali nei confronti dei professionisti che praticano attività intramuraria, nel caso in cui non vengano rispettati i tempi di erogazione di visite ed esami secondo il Piano nazionale del governo delle liste d’attesa per il triennio 2019-2021. Ad esempio, attraverso una riprogrammazione delle ore di medicina specialistica ambulatoriale interna, senza oneri aggiuntivi a carico degli assistiti. Oppure mediante l’incremento delle ore in favore di specialisti ambulatoriali interni già in servizio o con l’attivazione di nuove ore di specialistica ambulatoriale interna, eventualmente anche attraverso la sottoscrizione di rapporti di convenzione.  

All’articolo 4, che si riferisce al potenziamento dell’offerta assistenziale con la possibilità di erogare visite ed esami il sabato e la domenica, si precisa che non ci sono risorse aggiuntive e si allargano ai centri trasfusionali le aperture straordinarie dei pomeriggi e dei festivi. Molte polemiche hanno riguardato proprio la scarsità di fondi e il fatto che il decreto punti più sulle prestazioni aggiuntive che su nuove assunzioni di sanitari. In effetti, il superamento fino al 5% del tetto di spesa per il personale è possibile solo a fronte di misure compensative che riducono altre voci di esborso strutturale. Mentre la flat tax legata al surplus di lavoro costa 483,5 milioni di euro per i medici e 190 milioni per il personale del comparto.

Dalle opposizioni, il Pd ha attaccato in aula con la senatrice Sandra Zampa: “Questo decreto avrebbe dovuto dare risposta a un problema drammatico come le liste di attesa: 10 milioni di prestazioni inevase, 4 milioni di persone che rinunciano a curarsi. Il governo ha annunciato il provvedimento a gennaio e lo ha licenziato il 7 giugno in pompa magna, presentandolo come la rivoluzione. Siamo difronte invece a una grande presa in giro, non nei confronti dell’opposizione sempre disponibile a discutere sulla salute dei cittadini, ma nei confronti degli italiani, dei medici del Servizio sanitario nazionale e dei lavoratori della sanità”.

Mentre dal M5s Orfeo Mazzella ha rincarato: “La maggioranza continua a sostenere che il nostro Servizio sanitario nazionale è in salute”, ma “si dimentica che in realtà è chiaro a tutti che sta definanziando la sanità pubblica e che i tre punti del decreto più apprezzati dall’opinione pubblica non verranno realizzati. Se gli italiani lo sapessero, come si esprimerebbero oggi? Purtroppo, il fatto che il governo abbia messo la museruola al suo stesso ministro e che per tenere insieme la sua maggioranza la premier si sia inchinata alla Lega rendendo il governo ostaggio dei suoi alleati non è un bel segnale per quei milioni di cittadini che hanno rinunciato a qualsiasi forma di cura. Un tragico antipasto di quello che ci aspetta a livello di conflitto tra Stato e Regioni quando sarà del tutto operativa l’autonomia differenziata”. Ieri la collega di partito, Barbara Guidolin, aveva commentato con sarcasmo: “Io non sono contraria alla sussidiarietà, ma quando vedo come questo governo incapace utilizza la riforma del Titolo V in sanità preferirei essere amministrata dall’intelligenza artificiale”.

Dalla maggioranza, il presidente della commissione Affari sociali e Sanità, Francesco Zaffini (FdI), ha invece difeso le misure: “Tante Regioni stanno attingendo ai provvedimenti di questo decreto, con risultati importanti. È un testo di urgenza e di natura organizzativa che naturalmente non può avere molte risorse, ma è stato approvato anche un ddl governativo in cui metteremo i fondi a valere sulla programmazione del 2025”. Poi Zaffini ha precisato: “Comunque in questo decreto c’è quasi un miliardo di euro e 300 milioni di euro fuori dal Fondo sanitario nazionale, attinti dalle risorse del ministero per il compenso del lavoro fuori orario dei professionisti. E altri 624 milioni arrivano dal Pnrr. L’incremento della tariffazione oraria di quel lavoro, molto consistente, unito alla flat tax secca, consentirà ai professionisti di ricavarne un grande beneficio”.

 
Il testo del decreto

 

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