"Crisi dei pronto soccorso? Il problema reale sono i pazienti da ricoverare"
Il presidente della Simeu De Iaco a Nursind Sanità: "Non siamo contro la medicina generale". Poi sulle misure per rendere più attrattivo il lavoro in emergenza-urgenza: "Accortezze che non cambiano la sostanza della qualità della vita"
Di Elisabetta Gramolini
Ci risiamo. Ogni anno nel periodo precedente alle feste natalizie si torna a parlare di sovraffollamento dei pronto soccorso. Le cause sono molteplici: scarsità cronica di personale, aumento dei casi influenzali (fra i pazienti e i sanitari), ferie. Ad accendere gli animi, sono poi le aggressioni verbali e fisiche ai danni di medici e infermieri: l’ultima, in ordine di tempo, è avvenuta a Borgo Trento, dove un uomo ha lanciato scatolette di tonno e la tastiera di un computer contro i sanitari. Sulle criticità croniche dei reparti di emergenza urgenza nei giorni scorsi è intervenuto anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha rivolto un invito diretto ai medici di medicina generale affinché facciano da filtro per i casi meno gravi. "Ci aiutino, facciano la loro parte", ha dichiarato Schillaci che ha ricordato anche come la situazione in cui versano i pronto soccorso sia stata ereditata dal passato, quando si poteva mettere mano alla riforma della medicina territoriale. A Nursind Sanità, Fabio De Iaco, presidente della Società italiana di medicina emergenza urgenza (Simeu), in questa intervista spiega come ci sia la necessità di fare un progetto complessivo, non solo sul pronto soccorso, per affrontare con risposte adeguate il problema del turn over dei posti letto per acuti, vero collo di bottiglia del sovraffollamento.
La crisi dei pronto soccorso è dovuta alla carenza di alternative sul territorio come afferma il ministro?
È vero che non c’è alternativa ma il ministro si riferisce a una quota di accessi evitabili. La nostra posizione non è antitetica alla medicina generale. C’è bisogno di una maggiore presenza dei medici di medicina generale e c’è da chiedersi perché non ci sia. Questo non significa che i medici non vogliano lavorare, ma che nella medicina generale ci siano delle criticità che non vengono affrontate. Le case di comunità possono servire a gestire i codici minori, ma in realtà non risolvono il problema più importante dei pronto soccorso che sono i pazienti più impegnativi da ricoverare. Continuo a dire che i pazienti che non vengono filtrati dai medici di medicina generale, nell’arco di 18 ore vengono dimessi dai pronto soccorso con una diagnosi e una terapia. Il problema vero sono quelli che restano dentro in attesa di ricovero e di quelli si continua a non parlare.
Per “rendere di nuovo attrattivo il lavoro in pronto soccorso” Schillaci rivendica di aver rifinanziato l'indennità, aumentato la paga per le prestazioni aggiuntive, riconosciuto il lavoro usurante, approvato norme per aumentare la sicurezza e incrementato la retribuzione degli specializzandi che scelgono l'emergenza-urgenza. Bastano queste misure?
No, anche se occorre essere onesti, è la prima volta che si aumenta la retribuzione per gli specializzandi e riconosciamo che sia un gesto di attenzione, così come con il decreto bollette è stata riconosciuta l’attività usurante che dà un vantaggio per l’età pensionabile, anche se è vero che si applica solo a chi è stato assunto dopo il primo gennaio 1996 ed è comunque a tempo, fino al 31 dicembre 2025. Sono tutte accortezze che non cambiano però la sostanza della qualità di vita di chi abbraccia questo lavoro.
E cosa bisognerebbe fare?
Occorrerebbe fare un progetto. Tutti gli interventi hanno un significato, ma manca un progetto che abbia delle fondamenta, che si proietti negli anni e che potrebbe colpire altri ambiti del Servizio sanitario nazionale. Bisogna mettere le persone davanti a un’ipotesi di lavoro più soddisfacente, che quantomeno escluda la necessità di dover provvedere ad altre criticità in ospedale, come avviene oggi. Occorre lavorare sulla qualità di vita e arrivare, per esempio, a un numero di professionisti che consenta di non fare più di tre notti al mese. Il lato economico è importante, ma lo è anche tutto il resto, perché c’è una crisi di identità per i medici che si devono occupare di tante altre necessità.
Resta comunque il nodo dell’assistenza sul territorio?
Al recente Forum sul risk management di Arezzo, Agenas ha spiegato che la risposta al boarding (stazionamento dei pazienti in barella, ndr) in pronto soccorso sia l’infermiere e l’ospedale di comunità. Al momento però al Sud, secondo la Fondazione Gimbe, non esiste ancora una casa di comunità così come gli ospedali di comunità che comunque non rispondono alle esigenze degli ospedalieri per aumentare il turn over sui letti di degenza per acuti. Ciò significa che finché non si dà un’assistenza medica dignitosa, che non preveda le quattro ore messe a disposizione dai medici di medicina generale, sarà inevitabile che questi luoghi siano un analogo di una casa di riposo temporanea. Ecco perché abbiamo bisogno di un progetto sul Ssn che si spinga oltre le liste d’attesa, divenute un totem o l’unica cartina di tornasole della funzionalità del Ssn. Non voglio sminuire il problema, ma continuare a inseguirlo come unico indicatore credo sia un errore. Le liste d’attesa mettono l’accento sulla prestazione mentre andrebbe messo sulle risposte di salute, seguendo la performance generale.
In alcune Asl si annuncia la paralisi dei pronto soccorso se non verranno rinnovati i contratti ai gettonisti da gennaio. È un allarme reale?
Ho fatto una crociata contro i gettonisti ma, allo stesso tempo, ho sempre detto che va ricercata una alternativa. Le cooperative sono il risultato di una logica commerciale che si è andata ad inserire nel Ssn. Se la logica resta commerciale, pensare di poterla governare dall’alto con un diktat che impedisce di pagare la tariffa di 85 euro l’ora ho paura abbia poca efficacia. Nel momento in cui la cooperativa non risponde più alla chiamata, a quel punto l’azienda o chiude il servizio o aumenta l’offerta alla cooperativa per ogni ora. Nessuno mi sa rispondere a questa domanda che ho posto a vari direttori generali. La soluzione è che non si governa una logica commerciale con delle imposizioni dall’alto, si governa con una logica di servizio, cioè bisogna far sì che i professionisti rientrino nel Ssn. Del resto, spendiamo all’anno per le cooperative centinaia di milioni di euro l’anno. Con la stessa cifra si potrebbero assumere dei sanitari in pianta stabile.
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