16 Dicembre 2024

"Crisi dei pronto soccorso? Solo una riforma della medicina territoriale li salverà"

Il segretario Nursind Bottega: "Le strutture intermedie assorbirebbero sia i troppi codici bianchi che intasano i ps sia i pazienti stabilizzati che affollano i reparti, liberando posti per chi è in attesa nell'area di urgenza". Ruolo chiave inoltre per l'infermiere di famiglia "per la presa in carico di malati con bisogni clinici definiti e sul fronte della prevenzione"

Di U.S.V.

I picchi influenzali legati alla stagione invernale, le vacanze di Natale con annessa, temuta notte di San Silvestro e il relativo carico di incidenti, ma ovviamente anche le ferie estive. Lo spauracchio dei pronto soccorso affollati torna ciclicamente ogni anno sia per i cittadini, che per forma mentis ma soprattutto per carenza di alternative vi si riversano, sia per il personale che ci lavora quotidianamente e che è sempre più in fuga dall’emergenza-urgenza.

Un problema che agita il sonno, c’è da dire, anche del governo. L’esecutivo, non a caso, ha cercato di correre ai ripari con interventi quali l’indennità di pronto soccorso, mentre il ministro della Salute Orazio Schillaci lancia appelli ai medici di medicina generale per fronteggiare l’affollamento dei ps. Un nodo gordiano che anche gli infermieri, al pari dei medici, vivono in prima persona e che può essere sciolto con una "puntale riforma della medicina territoriale”, come spiega a Nursind Sanità il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega. "Il super afflusso nei ps – ha sottolineato – dimostra solo una cosa: i cittadini non trovano risposto ai loro bisogni di salute sul territorio. Se consideriamo, inoltre, che per lo più i pronto soccorso si trovano a gestire codici bianchi, dobbiamo concludere che sul territorio mancano strutture adeguate per rispondere a problematiche che hanno tassi di gravità minore".

Alla radice del problema, dunque, intravede una carenza di strutture?
E’ un problema innanzitutto organizzativo. Nei pronto soccorso dovrebbero trovare risposta solo urgenze ed emergenze. E invece il ps diventa la porta d’ingresso alternativa alla mancata attività programmata in altri presidi. Di qui l’utilizzo improprio che frena tutta l’organizzazione. Un problema al quale bisogna porre rimedio perché, è evidente, i ps non possono coprire le inefficienze che derivano da altre strutture ospedaliere.

In che modo?
In prima battuta, come detto, bisogna potenziare il territorio. Attraverso i Cau-Centri di assistenza urgenza, adiacenti ai ps, che si stanno sperimentando in Emilia Romagna o attraverso le case della salute, la logistica conta poco. L’importante è riuscire a dare finalmente una risposta adeguata per ciascuna tipologia di bisogni. In seconda battuta, potrebbero svolgere un ruolo importante anche le professioni sanitarie non mediche.

Si riferisce agli infermieri?
Anche agli infermieri che potrebbero soddisfare parte dei bisogni di salute dei cittadini, ma per farlo naturalmente occorre cambiare le regole dell’esercizio professionale. Una necessità, è bene sottolinearlo, che esiste a prescindere dal grave problema dei pronto soccorso. Siamo alle soglie del 2025, non è pensabile, infatti, che la professione di infermiere sia ancora ingabbiata in regole che risalgono al secolo scorso.

Siamo fermi alle dichiarazioni d’intenti, però. Di questo passo, l’affollamento dei pronto soccorso non è destinato a trovare una soluzione a breve.
Una cosa va detta: siamo forse l’unico Paese che con il Pnrr sta puntando a ridefinire l’assistenza territoriale. L’obiettivo dell’Italia è curare per lo più a casa i pazienti, anche per avere un impatto minore sul bilancio dello Stato. Servono però le strutture intermedie sul territorio in modo da poter dimettere i malati stabilizzati dai reparti ed evitare che molte persone restino anche per giorni nei pronto soccorso perché gli ospedali sono saturi e non sono in grado di assorbire la domanda.

La riforma del territorio, dunque, dovrebbe avere un duplice obiettivo: da un lato rispondere ai codici bianchi e dall’altro dare assistenza a quei pazienti non più acuti che possono esser dimessi dagli ospedali, liberando posti letto nei reparti?
E’ proprio così. Dei codici bianchi abbiamo già parlato e sono una sostanziosa fetta del problema dell’affollamento. C’è poi però l’altro nodo da sciogliere attraverso il potenziamento del territorio e cioè la presa in carico di pazienti ormai stabilizzati. A questo devono rispondere strutture intermedie come quelle riabilitative o come gli ospedali di comunità a conduzione infermieristica.

L’infermiere di famiglia che diventa il vero dominus, è così?
Sì perché si tratta di una figura importante e proattiva, in grado di prendere in carico quei pazienti che hanno già una storia definita di bisogni clinici e assistenziali. Ma può altresì svolgere un’attività di prevenzione utilissima, capace anch’essa di ridurre la domanda nei pronto soccorso, contribuendo a riportarli alla loro missione originale e cioè le urgenze e le emergenze.

 

 

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