28 Marzo 2025

"Antimicrobico resistenza? Una strage silenziosa, peggio del Covid"

Ogni anno in Europa 37mila morti diretti e 7 miliardi di costi stimati. Parlamentari ed esperti riuniti a Roma per discutere di prevenzione e innovazione in sanità: "Gli antibiotici sono vecchi e abusati, ma serve anche più informazione"

Di Ulisse Spinnato Vega
"Antimicrobico resistenza? Una strage silenziosa, peggio del Covid"

Ricerca e sviluppo da una parte. Informazione e consapevolezza diffusa dall’altra. La cultura della prevenzione in sanità passa ormai da approccio integrato One Health che implica un focus multidisciplinare sulla salute umana in senso stretto, sul benessere degli organismi sociali e sulla tutela ambientale a tutto tondo. Il Covid è alle spalle, ma due fronti restano aperti e c’è poco da stare tranquilli: da una parte le minacce di nuovi virus globali e dall’altra la pandemia mondiale, tanto letale quanto silenziosa, delle infezioni correlate all’assistenza (Ica) e dell’antimicrobico resistenza (Amr).

Proprio su quest’ultimo punto, va detto, i numeri sono impressionanti. Ogni anno in Europa si verificano 37mila morti per colpa delle infezioni ospedaliere e 110mila decessi che le vedono quale concausa. Sono 16milioni le giornate aggiuntive di ospedalizzazione generate dalle Ica, con una stima dei costi intorno ai 7 miliardi di euro. In pratica, annualmente tra il 5 e il 7% dei pazienti contrae un’infezione durante un ricovero. Tornando ai due fronti, conta dunque l’arsenale di vaccini e antibiotici aggiornati che abbiamo a disposizione. Ma la prevenzione non può che correre su due gambe: l’esigenza di mantenere alti i livelli di ricerca e sviluppo pubblici e privati deve sposarsi a un lavoro costante di informazione e consapevolezza.

Se ne è discusso con scienziati, esperti e policymaker di ogni colore politico nei due panel dell’evento ‘Innovazione e prevenzione. Investire nel futuro’, promosso dalle riviste Formiche e Healthcare Policy. Tra gli altri, Ugo Cappellacci, Forza Italia, presidente della commissione Affari sociali della Camera, ha premesso che “innovazione e prevenzione devono essere asset strategici per la sostenibilità del sistema” e “per allungare la vita con qualità”. Poi, in riferimento al nuovo Piano pandemico, da poco trasmesso alle Regioni, il parlamentare ha spiegato che il documento “ha già fissato alcuni principi chiave: l’importanza dei vaccini, ma passando da un’impostazione emergenziale a una strutturata e ordinaria. I vaccini sono essenziali, però da soli non bastano, servono protocolli terapeutici adeguati e una comunicazione più umanizzata e che sia in grado di coinvolgere i cittadini, senza paternalismi”. Il piano conta su “risorse finanziarie importanti: 50 milioni quest’anno, 150 l’anno prossimo e 300 milioni dal 2027”, ha rammentato il deputato azzurro, che sull’importanza di una buona copertura vaccinale, ha chiuso: “Voglio ricordare l’anticorpo per il virus della bronchiolite che ha consentito l’abbattimento del 90% delle ospedalizzazioni. La strada è questa, ma serve uniformità di erogazione sui territori”.
 
La collega Elena Bonetti, deputata di Azione e presidente della commissione di inchiesta sugli Effetti economici e sociali della transizione demografica, ha parlato invece di uno “scenario di cronicizzazione di molte patologie che modificherà l’assetto del Ssn”. Tuttavia, rispetto ai metodi ha avvisato che la prevenzione necessita di un cambio di paradigma “sulla gestione organizzativa” e una modifica di “approccio legislativo. Lo Stato oggi non pondera i costi in ottica di risparmio futuribile”. E poi “la politica di prevenzione ha bisogno di una stabilità strutturale e amministrativa, ma serve pure un approccio sistemico integrato One Health”. Spendere oggi in prevenzione per risparmiare domani in cure è il mantra cui si è adeguato anche Gian Antonio Girelli, eletto Pd a Montecitorio e vicepresidente della commissione di inchiesta Covid: “Però bisogna superare la frammentazione territoriale e tra aree urbane e zone interne. Servono in tal senso indicazioni nazionali prescrittive. Ci sono 21 modelli che non rispettano la soglia concordata del 5% dei bilanci dedicato alla prevenzione”.  

 

La centralità della profilassi e dei vaccini è stata sottolineata con forza da Michele Conversano, presidente del Comitato tecnico-scientifico di HappyAgeing - Alleanza italiana per l’invecchiamento attivo: “Siamo tra i Paesi più longevi, ma quando si parla di vita in salute a 60 o 65 anni, scivoliamo indietro in classifica. Le malattie infettive sono una delle ragioni di questo problema e hanno un impatto sulle cronicità che fanno salire i costi. Bisogna far comprendere il ruolo delle vaccinazioni sull’invecchiamento in salute. Il problema è che non abbiamo nemmeno i dati sulla copertura delle immunizzazioni per gli anziani”. Il nodo è stato toccato anche da Carlo Torti, direttore Uoc malattie infettive del Gemelli di Roma: “Serve informazione sulla popolazione, soprattutto sui fragili nelle Rsa, nelle ematologie e negli ambulatori. Poi bisogna migliorare l’accesso, chiamando in causa pure le farmacie, e inserire i vaccini nei Lea. Tendiamo ad associare il tema all’età pediatrica, ma il cambiamento demografico modifica il paradigma e ci indirizza su anziani e fragili. Oltre al fatto che bisogna destagionalizzare le vaccinazioni”.  

Facendo invece un po’ di conti sugli impatti economici della mancata profilassi, Eugenio Di Brino, co-founder e partner di Altems Advisory, è entrato nel tema del “valore di una strategia vaccinale”, spiegando che “dopo il Covid abbiamo puntato a un nuovo framework” e “ci siamo concentrati su sei diverse vaccinazioni”. Risultato? “Le attuali coperture generano un minor Pil di 10 miliardi di euro l’anno. Potremmo recuperare e ne deriverebbe anche maggior gettito fiscale a beneficio del Ssn”. Mentre per Stefano Da Empoli, presidente I-Com (Istituto per la competitività) e docente di Economia politica a RomaTre, “nel solo 2023, ossia nella fase endemica, abbiamo calcolato un costo diretto e indiretto del Covid pari a 1,6 miliardi. Sono dati impressionanti”.

Passando dalle malattie infettive e i vaccini al nodo dell’Amr, entra in gioco la vetustà degli antibiotici oggi disponibili e soprattutto il nodo del loro abuso a tutti i livelli. Luciano Ciocchetti, deputato Fdi e co-presidente dell’intergruppo parlamentare ‘One Health’, ha premesso che l’Amr “è una vera e propria pandemia e un tema posto in modo forte dal governo all’ultimo G7 Salute. L’Italia è entrata in un meccanismo globale di ‘push and pull’ con un impegno del Mef per nuovi antibiotici” e “sono stati stanziati 100 milioni su 1,3 miliardi del fondo farmaci innovativi che non vanno sul payback”. Ha aggiunto poi che “serve una attività culturale circa l’utilizzo degli antibiotici stessi, da indirizzare verso i normali cittadini, ma anche verso i medici e i pediatri di base in particolare. Tuttavia, occorre al tempo stesso un lavoro multifattoriale sulle altre cause delle infezioni ospedaliere. Per esempio, alcuni materiali al posto del cotone, per le divise degli operatori, sono in grado di abbattere la carica batterica del 90%. E vanno puliti meglio i nostri ospedali”.    

Alzando lo sguardo a livello globale, Vincenzo Atella, professore di Applied health economy a Tor Vergata, ha spiegato che nell’area Ocse 79mila persone hanno perso la vita nel 2023 a causa delle infezioni ospedaliere e “che stiamo esaurendo il nostro arsenale di antibiotici”, mentre entro il 2025 la spesa globale sull’Amr potrebbe raggiungere i 100 miliardi di dollari. Infine, ha sottolineato: “Il guaio non sono soltanto gli antibiotici per uso umano, perché ci sono quelli del mondo animale e vegetale che assumiamo con la nostra dieta. Non basta non prenderne in via diretta per considerarsi immuni dal problema”.

Si abusa quindi dei vecchi farmaci, ma mancano i nuovi e Stefano Vella, docente di Salute globale alla Cattolica, ha chiosato: “Aspettiamo gli antibiotici contro una decina di germi, ad esempio la gonorrea che resta intrattabile. L’industria dice che non ce la fa a svilupparli da sola, perché non rendono. E allora stiamo inventando meccanismi di ‘push and pull’ che da una parte comportano investimenti in ricerca pubblica e privata e dall’altro incentivano il privato con meccanismi come l’acquisto anticipato o l’allungamento dei tempi del brevetto”. “Sono importanti i soldi. Senza, non c’è ricerca e senza ricerca non hai terapie”, è andato invece dritto Massimo Ciccozzi, epidemiologo del Campus Biomedico di Roma. “L’Amr è una pandemia terribile, altro che Covid. Anche le Ica vanno contrastate: appena aprono gli ospedali, entrano i batteri e nel tempo diventano resistenti. Solo che prima ci mettevano molto più tempo: 13-15 anni negli anni Cinquanta. Oggi, invece, sono rapidi, bastano pochi anni”. In chiusura Ciccozzi ha ammonito: “Non bisogna somministrare antibiotici se ci sono problemi di tipo virale”.


 

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